Valentina Anna Piuma, “Manfredi Beninati, a Firenze, tra sogno e realtà”, in Formeuniche, 10 Novembre 2016

Certamente è uno degli artisti più interessanti del momento, Manfredi Beninati (Palermo, 1970) e ha scelto la Galleria Poggiali per ospitare la sua prima personale in quel di Firenze. La mostra nasce dal dialogo e dalla collaborazione tra artista e la galleria che ha assistito Beninati in tutti i passaggi, dal concept alla realizzazione delle opere stesse.

Il titolo, Domenica 10 dicembre 2039, anticipa e contiene di per sé il significato della mostra. Si tratta di una data immaginaria, una combinazione impossibile secondo il calendario gregoriano di giorno-mese-anno. Beninati fa riferimento a un’intuizione del 1968 del fisico Gabriele Veneziano, considerato il padre della cosiddetta “Teoria del tutto”, che ritiene esistano mondi paralleli che si estendono in diverse dimensioni. Questo immaginario, legato al trascorrere del tempo in una dimensione spaziale, si riflette nelle opere dell’artista in cui tempo e spazio si uniscono con la forza dell’immaginazione a creare mondi che cambiano in base a chi li osserva.

Ardua dunque l’impresa di riuscire a ricreare, mediante l’arte, questo tipo di suggestione, ma non impossibile. Beninati infatti, memore della formazione cinematografica presso gli studi di Cinecittà, intuisce brillantemente che ciò è possibile attraverso il connubio arte e cinema, allestendo così la mostra come fosse il set di un film di fantasia, in cui a scene della realtà quotidiana si confondono visioni oniriche e immaginarie.

In dieci light box l’artista rappresenta il laboratorio attiguo alla galleria in maniera del tutto visionaria, riuscendo efficacemente a ricostruire uno spazio reale in una dimensione immaginaria. Questo genere di pratica non è aliena alla consuetudine artistica di Beninati: basti citare, infatti, analoghe esperienze al MAXXI di Roma nel 2003, per la Biennale di Venezia del 2005 e ancora nel 2012 alla Biennale di Shanghai.

Lungo il percorso espositivo troviamo anche una serie di dipinti che raffigurano alcuni mondi immaginati da Beninati. La sensazione è quella di essere catapultati in una dimensione fiabesca, circondati da oggetti fantastici, elementi vegetali, bambini e animali. La luce delicata e i colori pastello dei dipinti rappresentano paesaggi incantati che ricordano l’infanzia o i viaggi (sognati o reali) dell’artista.

In quest’atmosfera evanescente compare anche una scultura in marmo in cui l’artista immobilizza la situazione del suo studio a Palermo: il suo quaderno d’appunti, scarabocchiato in biro blu, con gli schizzi del suo prossimo lavoro, giace su un plinto di marmo bianco con una tazzina da caffè, fogli sparsi e un temperino.

Il progetto non si esaurisce però qui, negli spazi di via della Scala. Nell’adiacente via Benedetta, nel magazzino della galleria, un lungo tavolo ospita una serie di sculture in cui Beninati trasferisce la leggerezza del disegno e la delicatezza della luce e dei colori a olio. Mezzi busti, cavalli, cerbiatti, maschere in bronzo e bassorilievi parlano di ricordi, sogni, boschi incantati e personaggi di pura invenzione. Questi colpiscono e disorientano per i profili abbozzati e stilizzati, descrivendo uno spazio a più dimensioni nel quale le figure a volte emergono ben nitide, a volte sono sfocate e indefinite, come se fossero volti che emergono dalla memoria.

La mostra è surreale e avvolgente: il visitatore è costretto per qualche minuto ad abbandonare le regole del mondo razionale, per essere catapultato in dimensioni parallele e inconsce. La linea sottile che intercorre tra il sogno e la vita reale si assottiglia sempre di più lungo il percorso espositivo, durante il quale lo spettatore viene colto dall’effetto “Alice nel paese delle Meraviglie”, immerso com’è in un innocente racconto di onirica e infantile ambientazione.

Valentina Piuma