Vi proponiamo la prima parte di un’intervista al presidente onorario dell’Associazione Italiana Transumanisti, il filosofo e sociologo Riccardo Campa. Il prof. Campa è conosciuto soprattutto per i suoi studi nel campo dell’etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente, per la sua difesa dell’idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia nella veste di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica all’Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente dell’Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore. L’intervista è condotta da Manfredi Beninati in forma di questionario aperto.
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MB – Transumanesimo (o Transumanismo?) e Postumanesimo sono sinonimi?
RC – ‘Transumanesimo’ e ‘transumanismo’ sono due termini che vengono usati indifferentemente per tradurre l’inglese ‘transhumanism’. Io preferisco utilizzare il termine ‘transumanesimo’, perché interpreto questa filosofia come uno sviluppo dell’umanesimo rinascimentale. Chi preferisce il termine ‘transumanismo’, in genere, lo mette in relazione alla Lettera sull’«Umanismo» di Martin Heidegger. Al contrario, ‘postumanesimo’ e ‘transumanesimo’ non sono sinonimi, anche se esistono relazioni tra i due termini. Qui, però, la questione è complessa, perché il termine ‘postumanesimo’ ha diversi significati. Da un lato, è utilizzato dai filosofi postmoderni per indicare una forma di pensiero che si pone in relazione critica proprio nei confronti dell’umanesimo rinascimentale. In particolare viene criticata l’idea dell’Uomo microcosmo, misura di tutte le cose, capace di conoscere e dominare la natura con la propria intelligenza. D’altro canto, il termine ‘postumanesimo’ è anche utilizzato da ingegneri e scienziati transumanisti per indicare ‘la filosofia del postumano’, ovvero l’ideale del superamento dell’umano, attraverso la creazione dell’essere postumano (per esempio una macchina intelligente), proprio esercitando quel dominio sulla natura e sulla materia che permette la conoscenza tecnico-scientifica. Come si può vedere, in apparenza, sono due punti di vista piuttosto distanti, se non diametralmente opposti. Tanto è vero che, in diversi congressi e conferenze, sono nati non pochi equivoci. Scavando più a fondo, comunque, punti di contatto tra le due prospettive sono stati rilevati. Per esempio, entrambi i postumanesimi tendono ad andare oltre lo specismo. Anche chi parte dall’idea rinascimentale dell’Uomo microcosmo e riconosce il valore intrinseco della conoscenza scientifica, alla fine, pensa nietzscheanamente che «l’uomo è qualcosa che deve essere superato». Per chi volesse saperne di più, la questione è stata discussa in dettaglio in un libro curato da Stefan Lorenz Sorgner e Robert Ranisch titolato Post- and Transumanism (Peter Lang, 2014).
MB – Come spiegherebbe in poche parole il concetto di Transumanesimo all’uomo della strada? Qual è il reale significato e quali le reali implicazioni?
RC – È importante premettere che il transumanesimo non è una dottrina dogmatica. Si può essere transumanisti in tanti modi diversi, così come si può essere illuministi o socialisti in modi affatto diversi. Una sintesi definitoria è comunque possibile. Se il postumanesimo è la ‘filosofia del postumano’, ovvero dell’essere che è già oltre l’umano, che non ha più nulla di umano, il transumanesimo è la ‘filosofia del transumano’, ovvero dell’uomo in transizione, del uomo che sta cambiando se stesso, dell’uomo che si proietta verso il postumano, ma che è ancora in parte umano. Transumanesimo è innanzitutto volontà di superare le proprie limitazioni biologiche, indifferentemente dal fatto che siano dovute al corredo genetico o intervenute successivamente a causa di malattie o incidenti. Per dirla in parole comprensibili all’uomo della strada, transumano è il normodotato che modifica coscientemente il proprio corpo e la propria mente al fine di potenziarsi, di rallentare l’invecchiamento, di vivere più a lungo. Transumano è però anche il disabile che, invece di compatirsi e farsi compatire, lotta contro la propria disabilità, la valorizza, e – avvalendosi dei mezzi tecnici disponibili – conquista vecchie e nuove abilità. A questo scopo, tanto il normodotato quanto il disabile possono utilizzare strumenti invasivi o non invasivi: vaccini per potenziare il sistema immunitario, farmaci, integratori alimentari, occhiali per potenziare la vista, operazioni chirurgiche di vario tipo, apparecchi ortodontici, bypass, organi artificiali, protesi elettromeccaniche, ecc. Come si può capire dagli esempi che ho fatto, nei paesi cosiddetti “tecnologicamente avanzati”, in circolazione ci sono ormai più transumani che umani. Transumanista è chi ha preso coscienza di questo fatto, lo ha accettato e ne ha compreso i risvolti positivi anche in prospettiva futura. La biomedicina continua, infatti, a progredire e gli esseri umani intervengono sempre più sistematicamente sui propri corpi e le proprie menti. Ora la domanda è: quante parti artificiali deve avere un essere vivente per poter essere chiamato ‘transumano’ e quante per poter essere definito ‘postumano’? Dov’è la soglia, il limite, tra l’umano e il non umano? Una volta che si supera il pregiudizio essenzialista, basato sul concetto di immutabilità della ‘natura umana’, è chiaro che la risposta non può che avere carattere convenzionale. Il concetto stesso di “umano” è destinato, prima o poi, ad essere destrutturato. E proprio in questa consapevolezza il transumanesimo di matrice scientista incontra il postumanesimo di matrice postmoderna.
MB – Qual è l’aspetto del Transumanesimo che La attrae maggiormente?
RC – Il transumanesimo è aria fresca immessa in un dibattito filosofico che tendeva negli ultimi decenni a essere un po’ stantio. Mette in discussione categorie ormai logore e, perciò, invita a riflettere di nuovo su quelle che, in fondo, sono da sempre le nostre domande filosofiche fondamentali: Che cos’è la vita? Che cos’è la morte? Chi sono io? Che cos’è l’io? Che cos’è la coscienza? Ovvero, chi sono io in quanto essere che vive e che pensa? L’infinito mi appartiene o mi è precluso? Ecc. L’uomo del passato si è posto queste domande e si è dato risposte di tipo filosofico o religioso. Si dice che l’uomo moderno, secolarizzato, tutto concentrato sul mondo, sul proprio successo nel mondo, ha rimosso queste domande. L’Europeo contemporaneo crede ormai poco o punto alle risposte tradizionali delle religioni (si vedano a proposito i dati dell’Eurobarometro e dei sondaggi Gallup), ma non ha trovato nuove risposte. Piuttosto, rimuove le domande e cerca soluzioni tecniche ai problemi pressanti di tutti i giorni. Tuttavia, il transumanesimo, alzando il tiro e chiedendosi se c’è una soluzione tecnica ai problemi dell’invecchiamento, della morte, della stupidità e della debolezza umana, alla fine, fa rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Questo mi piace del transumanesimo. A prescindere dal fatto che le soluzioni verranno davvero trovate o meno, il solo fatto di cercarle ti costringe a riflettere sulle grandi questioni della filosofia. Tra l’altro, la rimozione delle domande esistenziali non è prerogativa soltanto dell’edonismo contemporaneo o del rozzo scientismo di marca ottocentesca. Anche l’adesione formale, esteriore, non meditata, a una religione – che è l’atteggiamento tipico di molti ‘credenti’ – è in fondo un modo per nascondere sotto il tappeto queste inquietanti domande. Del resto, non pochi occidentali sono riusciti, e ancora riescono, a conciliare positivismo e religione. Basta non essere radicali, ovvero non andare mai alla radice delle questioni. I filosofi greci entrarono in conflitto con le religioni del loro tempo, proprio perché vollero discutere davvero le questioni metafisiche. Posero sul piedistallo l’episteme, la conoscenza certa, sorretta da argomenti empirici e razionali, al fine di liberarsi tanto dell’opinione incerta, la doxa, quanto dei dogmi indimostrati ereditati dalla tradizione.
MB- Da sostenitore, quale Lei – mi pare di capire – è, dell’evoluzione autodiretta, non intravede una possibile futura inconciliabilità tra questa e le ambizioni transumaniste? Presto infatti non sarà più l’Uomo a decidere delle proprie sorti, ma la Macchina.
RC – Che le macchine possano in futuro acquisire coscienza, al momento, è soltanto un’ipotesi di lavoro. Poiché vi dà credito la maggioranza dei tecnici al lavoro nella Silicon Valley, è comunque giusto e opportuno ragionare su questa ipotesi. Anzi su due ipotesi. La prima è che questo avvenga attraverso un progetto studiato e ponderato, ovvero grazie al fatto che abbiamo finalmente capito che cos’è la coscienza e come si produce o riproduce. Se abbiamo questa conoscenza possiamo sconfiggere la morte, ‘caricando’ le nostre stesse coscienze in macchine prima che il nostro corpo, il supporto organico originario, muoia. In questo caso, non ci sarebbe affatto una contrapposizione Uomo-Macchina, perché ci fonderemmo in un essere unico. La seconda ipotesi è che un giorno un computer superintelligente acquisisca coscienza senza che noi capiamo esattamente come ciò è accaduto. Continuiamo ogni giorno ad aumentare memoria e potenza di calcolo dei nostri computer al silicio e, improvvisamente, come un coniglio dal cilindro del prestigiatore, emerge in essi il pensiero cosciente, l’iniziativa, la volontà. Questo è il worst case scenario – il caso peggiore – perché ci proietta in una situazione in cui non sappiamo esattamente che cosa dobbiamo aspettarci dal computer o dal robot, né come utilizzare una tecnica che davvero non possediamo. Questa superintelligenza potrebbe esserci ostile o alleata. O, magari, potrebbe essere del tutto disinteressata all’uomo. In questo caso, l’uomo continuerebbe a evolvere per la sua strada, attraverso la biomedicina, mentre le macchine evolverebbero in modo autonomo. In fondo, non è scritto nelle stelle che ci debba essere in circolazione un unico essere intelligente. La coscienza e l’intelligenza appartengono, già ora, anche ad altri esseri viventi che sono tutti in evoluzione. Abbiamo distinto rigidamente il regno inorganico da quello organico, il regno vegetale da quello animale, l’uomo dagli altri esseri, ma fino a che punto a queste distinzioni concettuali corrispondono differenze ontologiche? Certamente, l’idea di evoluzione autodiretta è venuta, finora, per quanto ne sappiamo, solo agli esseri umani. E nemmeno a tutti. Ma, in ultima istanza, ad evolvere non è né l’Uomo né la Macchina. È la Coscienza. E dobbiamo iniziare a pensare alla coscienza non come qualcosa che c’è o non c’è, ma come qualcosa che c’è in gradi diversi. Persino tra un uomo e un suo simile può esserci una differenza notevole nel livello della coscienza.
MB – Secondo Ray Kurzweil – l’uomo a capo di Google engineering – entro i prossimi 13/15 anni giungeremo ad un punto di non-ritorno chiamato Singularity; quel momento, cioè, in cui la convergenza Uomo-macchina sarà totale al punto che potremo lasciare che un computer si ‘occupi di noi’. Secondo Kurzweil, l’Intelligenza Artificiale (A.I.), per allora sarà più sviluppata di quella umana. Ciò, a mio parere, crea non pochi motivi di preoccupazione. Infatti, fondamentalmente, l’uomo sarà alla mercé delle macchine. Qual è il suo punto di vista a tal riguardo?
RC – Intanto, ribadisco che stiamo ragionando su ipotesi futuribili e per certi versi fantascientifiche. Ho la massima stima di Ray Kurzweil e non è certo un caso se un colosso come Google lo ha scelto nel 2012 come direttore della ricerca. Personalmente, però, credo che le sue stime temporali siano troppo ottimistiche. Entrando nel merito della questione, riprendo il discorso sviluppato sopra. Tutto dipende da come ci si arriva alla Singolarità. Se ci si arriva in modo volontario e attraverso una piena conoscenza del processo, la Singolarità apre la strada al superamento definitivo della distinzione tra Uomo e Macchina. La preoccupazione di cui Lei parla nasce dal fatto che si continua a ragionare in uno scenario tipo Terminator o Matrix, in cui uomo e macchina sono entità separate e in conflitto, che non è quello proprio della Singolarità. Quest’ultimo è meglio tratteggiato in Transcendence, un film di fantascienza che – con tutti i suoi limiti – fornisce un’idea piuttosto chiara dello scenario kurzweiliano. Non pochi critici e spettatori hanno, infatti, immediatamente identificato lo scienziato Will Caster, interpretato da Johnny Depp, proprio con Raymond Kurzweil. In questo scenario, gli uomini (non uno, molti) e le macchine superintelligenti si fondono in un essere unico. Questo essere, che assomma tutte le nostre coscienze e quelle delle macchine collegate, attraverso la rete Internet, assume il controllo di tutta la natura. Non c’è un dentro e un fuori, un io e un altro da me. Nel film, il progetto non si realizza, a causa dell’opposizione dei luddisti, in combutta con la polizia. Se si fosse realizzato, l’intero pianeta Terra, con tutti gli esseri che lo popolano, sarebbe diventato un unico superessere cosciente e avrebbe risolto tutti i propri problemi, a partire dalle malattie per arrivare all’inquinamento. In poche parole, in seguito alla Singolarità, tutti noi e le nostre macchine, fusi insieme, diventiamo “Dio”, ma in un’accezione che è piuttosto lontana da quella cattolica tradizionale di dio-persona, creatore e giudice etico. Qui si fa riferimento a una nozione di divinità che forse è più vicina a quella del panteismo pagano o del misticismo orientale. Al limite, l’essere postumano onnicomprensivo può ricordare la divinità di certi mistici cristiani in odore di eresia. Questa è, comunque, l’idea di Singolarità che emerge in Transcendence. Lei dirà: e gli umani che non vogliono fare parte di questa entità? Non credo che qualcuno li obbligherà. Se qualcuno di noi vorrà continuare a essere un fragile bipede, condannato all’invecchiamento e alla morte, nonché ad una comprensione limitata della realtà, pensa che a un essere quasi divino possa interessare qualcosa? Mi perdoni un parallelo provocatorio, ma questo essere postumano sta all’uomo, come l’uomo sta alla mosca. L’uomo scaccia o schiaccia le mosche se queste vengono a infastidirlo, ma non è che si sveglia al mattino pensando che deve andare a caccia di mosche. L’uomo si sveglia al mattino pensando che deve costruire un ponte, guidare un tram, comporre una sinfonia, scrivere un libro, concludere un affare, incontrare una persona che ama, ecc. Ho detto ‘provocatorio’, perché so qual è la reazione tipica del bioconservatore a questo esempio. Direbbe: “Ma io voglio rimanere uomo e continuare a essere libero di fare ciò che mi pare, ossia non essere costretto a temere un essere superiore”. Bene, qui arriviamo alla questione centrale. La libertà è direttamente proporzionale al potere che si ha. “Voglio essere libero” è una locuzione quasi equivalente a “voglio essere potente”. Ma se tu vuoi essere potente, perché mai strilli contro chi – esattamente come te – vuole essere potente, ovvero libero? Alla fine, non vuole il cambiamento chi è già, o crede di essere, in una condizione di potenza nei confronti dell’altro da se. Ma chi è nella situazione opposta ha tutto il diritto di ribaltare il rapporto di potere, se ci riesce.
MB – Forse, però, dopotutto, non dovremmo preoccuparci di qualcosa che se mai dovesse avvenire, automaticamente ci metterebbe in una condizione di coscienza relativa. Se un tossicodipendente potesse passare la vita intera sotto effetto della droga non credo che avrebbe alcun rimpianto della vita ‘reale’. Inoltre, se si pensa al fatto che il computer è stato creato “ad immagine e somiglianza” dell’Uomo, così come gli stessi robot, ciò ha un nonsoché di rassicurante, almeno per un momento. Cioè dato che si tratta comunque di nostri prodotti, come lo è tutto ciò che chiamiamo artificiale e come lo sono la maggior parte del cibo di cui da millenni ci nutriamo, le Arti, le Scienze o le dimore in cui abitiamo – tutte cose che non hanno mai destato in noi alcuna diffidenza– allora si potrebbe accettare anche un futuro così tanto inesplorabile con i mezzi d’oggi, semplicemente etichettandolo come Progresso. Cioè naturale evoluzione delle cose. Si potrebbe, come d’altra parte fanno già in tanti, accettare l’idea di quel futuro sconosciuto in cui potremo fare a meno di muovere un muscolo, o di pensare, per soddisfare le nostre esigenze e i nostri capricci. E forse, addirittura, potremmo farlo con entusiasmo. Oppure, al contrario potrebbe avvenire che l’immagine dominante in noi sia quella d’uno scenario da inferno dantesco in cui l’essere umano, ancora dotato di almeno un residuo di coscienza sia costretto a vivere in un mondo artificiale e in condizione subalterna rispetto alle macchine. Immagino, in questo secondo caso, uno stato simile a quello della Locked-in Syndrome. Anche questo è uno scenario possibile e, dopotutto, è quello che maggiormente spaventa la gente comune. Quale è il suo punto di vista al riguardo?
RC – Non credo proprio che fondendoci con macchine superintelligenti entreremmo in una situazione di “coscienza relativa”, come se fossimo “drogati”. È esattamente il contrario. Entreremmo in una situazione di coscienza aumentata e, forse, tendenzialmente infinita. Aumentata a tal punto che non sarebbe più umana, ma superumana, o addirittura divina. L’uomo di oggi è tutt’altro che un essere che ha coscienza del proprio essere, per non dire dell’Essere e del Non Essere. L’uomo contemporaneo, al massimo, ha una vaga coscienza del suo essere in facebook. Vaga, molto vaga, perché non sa nemmeno come funziona lo smartphone che maneggia o un semplice circuito integrato. Usa la tecnologia e si fa usare da essa. Perciò, a me non rassicura affatto una situazione in cui generiamo la Singolarità, creiamo una macchina superintelligente, ma questa continua a pensare come “un uomo”. A che serve creare una copia esatta dell’uomo? L’uomo, oltre ad essere un’animale con una coscienza molto limitata, è un predatore spietato con un sacco di problemi fisici e psichici. Chi pensa all’uomo come a una sorta di angelo, di bene incarnato, di culmine della creazione, ecc., dimentica che parliamo di un essere che massacra ogni giorno miliardi di animali e migliaia di propri simili. L’uomo commette mediamente circa mezzo milione di omicidi all’anno. Spesso per futili motivi. L’idea della Singolarità, della transizione al postumano, è quella di superare l’uomo nella direzione del divino. Dio – qui inteso come concetto astratto, filosofico – è superiore all’uomo perché onnipotente, onnisciente ed eterno. Immaginiamo, ora, che esista un tale essere. Le pare che un essere onnipotente, onnisciente ed eterno possa ragionare come un essere umano, che al contrario è debole, ignorante e mortale? Un tale essere vedrebbe tutta la realtà in maniera diversa. Tra umano e divino c’è un abisso. Non vede questo abisso chi interpreta il divino secondo le categorie del cattolicesimo popolare, perché gli dèi e i santi di questa religione – Yahweh e Gesù Cristo in primis – sono “persone” e si comportano come tali. Per comprendere la condizione postumana, si pensi piuttosto alla divinità com’è stata concepita dai filosofi greci, o al limite com’è stata concepita dai mistici cristiani che si muovevano nel solco di Plotino. La Singolarità di Kurzweil è la porta che conduce alla partecipazione al divino. Che si può dire di questa partecipazione? Nulla. Perché le nostre attuali capacità mentali non ci permettono di comprenderla. L’abisso che divide l’uomo dal divino si supera soltanto attraverso la fusione. Come diceva Dionigi L’Aeropagita, del divino si può predicare solo l’inconoscibilità. Come ribadiva Nicola Cusano, il divino non può essere racchiuso in alcuna definizione proprio perché trascende ogni cosa. Non si può nemmeno dire che Dio è il Bene, perché equivarrebbe porre dei limiti a ciò che non ha limiti. Il postumano onnicomprensivo di cui parlano Ray Kurzweil, Hans Moravec, Frank Tipler, e altri visionari estremi dell’intelligenza artificiale, assomiglia a questa divinità e perciò può essere definito soltanto attraverso paradossi. Sempre seguendo la teologia negativa, possiamo dire che è coincidenza degli opposti, umano e non umano, tutto e nulla, bene e male, luce e tenebre, punto e circonferenza, minimo e massimo, parola e silenzio, o ancora i due opposti fusi insieme: “tenebra luminosissima”. In definitiva, in questa prospettiva, non c’è un Dio che in origine crea l’uomo a propria immagine e somiglianza. Al contrario, c’è l’uomo, frutto dell’evoluzione, che – raggiunto l’opportuno livello tecnologico – crea Dio. Fino alla Singolarità, Dio non esiste, o meglio esiste solo in potenza, come idea. L’uomo è dunque lo strumento dell’Incarnazione. È un moderno teurgo chiamato a dare corpo all’idea del divino, iscritta da sempre nella sua mente. E scompare dopo aver portato a termine il proprio compito. Proprio come il bruco scompare dopo aver dato vita alla farfalla. La farfalla non è la negazione del bruco, il nemico del bruco, ne è piuttosto il compimento. Il bruco continua ad esistere nella farfalla, in una forma più elevata. Allo stesso modo la blastocisti continua ad esistere nell’uomo adulto, pur essendo “negata” da esso. Ecco, bisogna pensare la genesi del postumano in termini di metamorfosi, non di creatio ex nihilo. Ripeto però ancora una volta, a scanso di equivoci e a rischio di apparire noioso, che qui stiamo ragionando soltanto su un’ipotesi. Il futuro non può essere previsto con certezza. Ci occupiamo di analisi di scenario, di futurologia, perché è comunque meglio ragionare su scenari ipotetici, piuttosto che avanzare nell’inconsapevolezza più assoluta. Quello tratteggiato in Transcendence è soltanto uno dei possibili scenari.
MB – Sempre Kurzweil – che è da molti considerato come una sorta di oracolo, avendo in passato predetto tantissime cose al tempo inimmaginabili che si sono, però, puntualmente avverate – insiste su un altro punto cruciale: quello dell’immortalità. Infatti, secondo lui per guadagnarsi l’immortalità sarà sufficiente mantenersi in vita, anche in pessime condizioni di salute, fino al momento in cui certe tecnologie (nanotecnologie?) diventeranno disponibili per tutti. Da quel momento la morte, la decomposizione e persino l’invecchiamento saranno un ricordo lontano. Da questa asserzione si sollevano tre grandi – per me – quesiti che Le giro:
a. Crede che ciò avverrà?
b. Dal punto di vista della filosofia morale come s’inquadra un cambiamento così radicale di percezione del mondo da parte dell’Uomo divenuto immortale?
c. Come si concilia il concetto di immortalità con l’inevitabile problema della sovrappopolazione?
RC – Colgo l’occasione offerta dalla Sua prima domanda per ribadire un concetto. Non credo proprio che la Singolarità o l’immortalità siano dietro l’angolo. Anzi, personalmente, non credo. Nel senso che sono agnostico e credo in ciò che vedo e talvolta nemmeno in quello. Quando saremo dentro la Singolarità, se mai ci saremo, lo saprò. Altrimenti, se iniziamo a credere, rischiamo di trasformare il transumanesimo in una religione. Per quanto riguarda la seconda domanda, in ambito bioetico, ci sono al momento due paradigmi dominanti: pro-life (cattolico) e pro-choice (laico). Si fa un gran parlare di problemi etici o morali intono al transumanesimo, ma io non vedo problemi di principio insormontabili. Se uno sposa la posizione pro-life come può mettersi coerentemente contro l’allungamento della vita? Se uno sposa la posizione pro-choice come può mettersi coerentemente contro la scelta di allungare la propria vita? Certamente, possono nascere problemi contingenti che richiedono attenzione e cautela, ma non vedo problemi di principio. Per quanto riguarda la terza questione, la sovrappopolazione è un concetto relativo. Dipende da qual è il livello ideale di popolazione che si postula. È senz’altro vero che la crescita della popolazione è un fenomeno dovuto in parte alla tecnica e all’abbondanza che ne deriva. Io, però, vedo innanzitutto un problema di incoerenza in molti soggetti che sollevano la questione dell’impatto antropico. Se qualcuno ritiene che la crescita demografica come conseguenza dell’allungamento della vita sia un problema, allora dovrebbe coerentemente chiedere di abolire già ora gli ospedali, le farmacie, le facoltà di medicina, le pensioni, e tutto ciò che allunga la vita. Gli animali allo stato libero non invecchiano, perché muoiono prima. Eppure c’è in giro chi si preoccupa dell’impatto antropico, ma al contempo difende il proprio welfare state, il proprio stipendio, la propria pensione. A morire devono essere sempre gli altri. Inoltre, se diamo un’occhiata alle statistiche, ci accorgiamo che non c’è una proporzionalità diretta tra crescita della popolazione e sviluppo tecnologico. All’inizio c’è una correlazione forte, soprattutto in relazione alla meccanizzazione dell’agricoltura, poi però le curve divergono. In altre parole, la bomba demografica riguarda i paesi meno sviluppati sul piano tecnologico. I paesi avanzati hanno una popolazione in netta diminuzione. Se questo non è così visibile è perché la popolazione mancante viene inesorabilmente rimpiazzata dall’immigrazione proveniente dalle zone più povere del pianeta. L’Italia, in questo senso, è un caso emblematico. Ciò significa che, nei paesi tecnologicamente avanzati, l’ultima preoccupazione dei cittadini è quella di fare “tanti figli”. Pensano ad altro. Pensano a divertirsi e a realizzarsi professionalmente. Forse, se tutti i paesi fossero tecnologicamente avanzati, la popolazione mondiale diminuirebbe sensibilmente. Quand’anche i cittadini di questi paesi vivessero trecento o quattrocento anni, invece degli attuali ottanta, e potessero agevolmente riprodursi in età avanzata grazie a fecondazione in vitro o clonazione, credo che riusciremmo a malapena a mantenere il livello demografico attuale. Insomma, l’idea che una situazione di longevità radicale o quasi-immortalità comporti una crescita insostenibile della popolazione parte dal presupposto – del tutto infondato – che la motivazione prima dei transumani o dei postumani sia quella di riprodursi come conigli. Se le coppie faranno lo stesso numero di figli che fanno ora, a prescindere dall’aspettativa di vita, l’equilibrio demografico rimarrà inalterato. E non credo che ci sia bisogno di imporre obblighi in questo senso. Come sopra accennato, è difficile pensare che i transumani e i postumani del futuro condivideranno gli stessi valori e le stesse priorità dei cittadini dei paesi in via di sviluppo, spesso poveri e analfabeti. Avranno altro da fare.
MB – A cosa ci porterà l’integrazione Uomo-macchina? Saranno più i benefici o i danni per la razza umana e la natura in generale?
RC – A questa domanda mi pare di avere risposto ampiamente sopra. Possiamo però proporre un’integrazione, basata su uno scenario differente. Supponiamo che la Singolarità sia solo fantascienza. Supponiamo, cioè, che si verifichi nei prossimi anni uno sviluppo prodigioso della biomedicina e della robotica, della nanotecnologia e dell’intelligenza artificiale, senza però che le macchine acquistino coscienza e gli esseri umani si fondano con esse generando un unico superessere. Rimaniamo insomma con i piedi ben ancorati a terra. Credo che, in questo scenario, dovremmo chiederci non tanto che cosa succederà alla “razza umana” nel suo complesso, ma che cosa succederà ai “gruppi umani” che via via accetteranno o rifiuteranno queste tecnologie. Non tutti i popoli e le nazioni avranno lo stesso futuro, proprio perché alcune di esse creeranno il futuro, altre seguiranno in affanno, altre ancora rimarranno marginalizzate, e altre infine lo subiranno loro malgrado. È quello che accade da migliaia di anni. E accadrà ancora. Se i cittadini del paese A decideranno di “restare umani” e i cittadini del paese B, confinante, decideranno di diventare “superumani”, potenziandosi con le proprie tecnologie, lasciò prevedere a Lei chi avrà maggiori benefici o danni. Io non sono un profeta. So però che chi ha più tecnologie, ergo potere, può ingerire negli affari interni di un altro paese, mentre il contrario non è possibile. A meno che chi ha più potere non sia entrato in una fase masochistica. Anche questo accade, talvolta.
MB – Qual è il suo rapporto con la Natura?
RC – Sarebbe più facile per me rispondere a questa domanda se sapessi che cosa Lei intende per “Natura”. Converrà con me che si tratta di un termine polisemico, che può voler dire tutto e niente. Se l’Uomo fa parte della Natura, ne fa parte anche tutta la sua Tecnologia. Così come i passeri costruiscono nidi e i castori dighe, l’uomo costruisce centrali nucleari. Se, invece, per Natura, Lei intende tutto ciò che esiste a prescindere dall’Uomo, allora il mio rapporto con essa dipende dalle contingenze. Quando una zanzara mi ronza attorno all’orecchio, mi succhia il sangue, mi lascia un livido sulla pelle che causa un fastidioso prurito per giorni, ho con essa un rapporto negativo. Quando, in un giorno torrido, esco da una rumorosa e inquinata città per andare a fare una passeggiata in un fresco bosco, accarezzato da una brezza leggera, circondato da profumi inconsueti, ho invece con essa un rapporto positivo. D’altronde, sono anche cosciente del fatto che posso godere di questo bosco grazie ad un prezioso oggetto tecnologico: le mie scarpe. Se dovessi camminare a piedi scalzi su un terreno accidentato, irto di spine e insidiato da insetti, probabilmente rimpiangerei la città. La Natura e la Tecnologia sono belle o brutte, buone o cattive, a seconda delle situazioni. Chi voleva mettere in netta contrapposizione Natura e Tecnologia era Theodor Kaczynski, l’Unabomber, non a caso un terrorista. È tipico delle personalità violente e pericolose ridurre la comprensione della realtà a dicotomie, associando il Bene a un termine e il Male al suo (presunto) opposto. Il mondo appare in una luce diversa quando si iniziano a destrutturare questi concetti, quando si smette di ragionare in bianco o nero e si inizia a vedere il reale a colori, o meglio ancora per gradazioni di colore. E senza dimenticare che alcuni colori, come l’infrarosso e l’ultravioletto, non sono visibili.
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