RASSEGNA STAMPA
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2011
Arts-Up
Interview avec Manfredi Beninati
Jean-Paul Gavard-Perret
– Qu’est-ce qui vous fait lever le matin ? Le besoin de me faire un café ( Il voler farmi un caffè )
– Que sont devenus vos rêves d’enfant ? Ils ont grandi avec moi ( Sono cresciuti con me )
– A quoi avez-vous renoncé ? A la mortalité sereine ( Alla serena mortalità )
– D’où venez-vous ? D’un instant d’idiotie de mes parents ( Da un momento d’idiozia dei miei genitori )
– A qui n’avez-vous jamais osé écrire ? A moi, je m’épouvanterais ( A me stesso. Mi spaventerei )
– Qu’est-ce qui vous distingue des autres artistes ? La concentration ( La concentrazione )
– A quoi avez-vous renoncé pour votre travail ? La mer ( Il mare )
– Où et comment travaillez-vous ? Dans mon monde, continuellement sans pauses. Même la nuit, même quand je dors ( Nel mio mondo, continuativamente, senza pausa. Anche di notte, anche dormendo )
– Quelle musique écoutez-vous en travaillant ? Le bruit des mes souliers, des outils que j’utilise, de ma respiration devenue l’halètement d’un fumeur invétéré ( Il rumore delle mie scarpe, degli sttrezzi che sto utilizzando, del mio respiro affannato da fumatore incallito )
– Quel livre aimeriez vous relire ? Le Baron Perché d’Italo Calvino ( Il barone rampante di Calvino )
– Quels sont les livres qui vous font pleurer ? Ceux qui décrivent le monde comme un lieu où peut exister la fraternité ( Quelli che descrivono il mondo come un posto dove esiste fratellanza )
– Lorsque vous vous regardez dans votre miroir qui voyez-vous ? Moi même, chaque fois plus vieux. Ce serait très bien de pouvoir continuer à le faire longtemps encore ( Me stesso ogni volta più vecchio. Sarebbe Molto bello poter continuare a farlo per molto tempo ancora )
– Quels sont les travaux ménagers qui vous rebutent le plus ? Repasser, je crois. Je n’en suis pas sûr car je ne l’ai jamais fait. Mes vêtements ne sont jamais repassés ( Stirare, credo. Non ne sono sicuro poichè non l’ho mai fatto. I miei indumenti non sono mai stirati )
– De quels artistes vous sentez-vous proche ? De ceux qui se tiennent aussi loin que possible des autres artistes. Je pense la même chose qu’eux ( Quelli che stanno alla larga dagli altri artisti. La penso come loro )
– Qu’aimeriez-vous recevoir pour votre anniversaire ? La promesse que personne me téléphone jusqu’à mon prochain anniversaire ( La promessa che nessuno mi telefoni fino al prossimo compleanno )
– Que défendez-vous ? Le droit d’être le fruit de ma propre pensée pas endoctrinée. Je suis un utopiste, je m’en rends compte ( Il diritto ad esser il frutto del proprio pensiero non indottrinato. sono un utopista, me ne rendo conto )
– Que vous inspire la phrase de Lacan : “L’Amour c’est donner quelque chose qu’on n’a pas à quelqu’un qui n’en veut pas”? A Ponce Pilate. Cela me paraît très pratique! ( A Ponzio Pilato. Mi pare molto conveniente! )
– Enfin que pensez-vous de celle de W. Allen : “La réponse est oui mais quelle était la question ?” Que W. Allen ne doit pas être très intelligent. Je trouve aucune stimulation dans ce mot d’esprit à deux sous (Che W. Allen non dev’essere molto intelligente. Non trovo alcuno stimolo in queste freddure da quattro soldi )
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2011
Tribe Art
Intervista con Manfredi Beninati
di G. G. Blando
Un mondo che si rivela con la luminescenza e la magia di immagini svelate da una lanterna magica, cosi appaiono le visioni di Manfredi Beninati, artista palermitano, poeta di una realtà scoperta attraverso il filtro della memoria, con il senso del trascorrere del tempo, del fluire sedimentato della percezione, mediato dal filtro della coscienza, dalla sovrapposizione delle interpretazioni, dagli inganni della mente. Non si dimenticano le sensazioni e il vissuto interiore convive e si sviluppa con l ‘essere che cresce e si trasforma ed è questa coscienza dilatata nel tempo che rende ancora più sensibile il presente. L’infanzia è un frammento sbiadido e le stanze della memoria ritornano a vivere come luoghi dell’anima, come se il momento possa essere “durata interiore”, secondo la filosofia di Bergson, come un passato che vive ancora. Il disordine che nasce da un’accumulazione di oggetti, si stempera attraverso l’evanescenza pittorica che assegna alle cose il fascino della consunzione determinata dal tempo con il suo inesorabile trascorrere. Le installazioni ricreano ambienti che sembrano familiari, guardati attraverso uno spazio visivo, delimitato, assicurando una distanza di sicurezza dalla rassegnazione che nonostante si sia vissuto il tempo avuto a disposizione, qualcosa sia stato perso. Manfredi Beninati, vive tra Palermo, Roma e Los Angeles, ha partecipato a importanti rassegne internazionali, come la Biennale di Venezia, e il suo lavoro è molto apprezzato da curatori e collezionisti che operano nel sistema dell’arte. Ama intendere il mestiere dell’artista come un lavoro che scaturisce dalla tecnica e dalla sapienza compositiva, ama l’arte e la cultura italiana ed è affascinato dalla scultura di Medardo Rosso, riuscendo a creare sfumature, vibrazioni che avvicinano la materia alla memoria e alla psiche con le sue derivazioni inconsce, assecondando il fluire mobile di una consapevolezza che emerge dal buio di un tempo trascorso. «Cosa sarebbe il mondo senza l’amore» scriveva Goethe ne I dolori del giovane Werther «se non una lanterna magica senza la luce?».
…….
GGB: Nelle tue opere visioni interiori si traducono nella rappresentazione di una dimensione psichica. Concentrandoti sulla sensibilitˆ dei bambini
e degli adolescenti, racconti un viaggio nella memoria emotiva, descrivendo un ‘ atmosfera di purezza che sembra perduta. Cosa ti sollecita a
considerare queste tematiche?
MB: Non direi che il mio lavoro artistico tratti il tema della memoria o che rappresenti delle visioni interiori né, tantomeno, ho mai avuto un interesse
particolarmente sviluppato nei confronti dell’immaginario infantile. Piuttosto sono sempre stato interessato alla composizione, tanto nei miei quadri
e disegni quanto nelle mie installazione. Ed e’ sull’equilibrio strutturale d’un opera, sul versante compositivo, appunto, che ho sempre lavorato. Poi,
ovviamente,
un osservatore estraneo trae tante altre conclusioni, e puo’ anche accadere che rimanga piu’ affascinato dalle atmosfere, dal lato oscuro della mia
psiche che, certamente, dovra’ trasparire. Non avendo avuto una educazione accademica della storia dell’arte, la poca cultura che ne ho deriva più che
altro dalla
mia curiosita’, dall’essermi perso, in gioventù, tra le riproduzioni nei libri di arte che trovavo a casa e di cui quasi mai leggevo i testi. Queste
intere giornate trascorse così, sfogliando quei libri costituiscono uno dei ricordi a cui continuo ad essere piu affezionato. Lì
e’ nato il mio amore per certa pittura (rinascimentale, barocca e novecentesca) che, senza dubbio, ha formato il mio immaginario personale. Nient’altro
da allora m’ha appassionato tanto profondamente.
GGB: La memoria affettiva rimanda agli affetti familiari, alla casa e alla famiglia, elementi che contribuiscono alla costruzione di un vissuto interiore.
Il luogo della tua infanzia, per la storia familiare è Palermo. Quali ricordi ti legano a questa città? Quali colori e forme di Palermo ti sono rimaste
impresse?
MB: Tutti i miei colori e le mie forme derivano dai ricordi che porto dentro di me, ovviamente. Palermo mi rifornisce di contnui ricordi che vanno via via
ritornando a galla anche con contorni estremamente sfumati. E’ una fonte inesauribile di prestesti, di appigli ed anche di soluzioni.
GGB: Hai studiato presso il centro sperimentale di fotografia di Roma ed il cinema una tua grande passione. Quanto contribuisce la tua cultura
cinematografica alla realizzazione delle tue opere, in particolare alle scenografiche installazioni?
MB: Molto profondamente.
GGB: Da qualche anno vivi negli Stati Uniti d’ America, a Los Angeles, con la tua compagna e tuo figlio, il piccolo Leone. Credi che il sistema
dell’arte americano sia differente rispetto al sistema italiano?
MB: In realtà vivo più a Palermo ed a Roma che a Los Angeles. Il mondo anglosassone lo conosco molto bene comunque (ho vissuto in
inghilterra per quasi tutti gli anni novanta) e so per certo che il loro sistema è sempre diverso dal nostro e nella maggior parte dei casi è più
efficace perchè meglio strutturato, in qualsiasi ambito, anche in quello dell’arte contemporanea, dove, infatti loro (americani o inglesi) godono di
enorme visibilità sulla scena planetaria mentre noi italiani vivacchiamo, sopravviviamo, diciamo così. In questo campo loro hanno le istituzioni, gli
investimenti, il controllo dell’informazione, gli organi di divulgazione, il sistema con la esse maiuscola che appoggia e spinge il lavoro dei migliori
talenti. Noi dobbiamo ringraziare il cielo d’avere quei quattro musei che abbiamo e che ogni tanto danno un pò di spazio anche ai giovani artisti italiani,
dato l’evidente, totale disinteresse da parte delle istituzioni pubbliche e private nei confronti dellaproduzione artistica nostrana e comunque la pochezza
intellettuale e l’assoluta mancanza di coraggio che mettono in campo i nostri critici, storici e curatori.
GGB: Come sono considerati gli artisti italiani negli Stati Uniti d’America?
MB: Non saprei rispondere a questa domanda se non evidenziando che se ne vedono davvero pochissimi in giro soprattutto nelle programmazioni delle istituzioni
più prestigiose dove sono quasi del tutto assenti. E non mi sto riferendo soltanto alle giovani leve ma anche agli artisti più importanti e storicizzati
come Piero Manzoni o Gino De Dominicis. Per non parlare del povero grande Medardo Rosso! Questo poco interesse è colpa delle nostre istituzioni, appunto.
GGB: Hai vissuto negli ultimi dieci anni un ‘ intensa stagione creativa, esponendo sia negli Stati Uniti che in Europa, ed hai partecipato ad importanti
manifestazioni artistiche come la Biennale di Venezia. Le tue opere sono richieste dai collezionisti, ma proprio adesso che il tuo successo è riconosciuto,
hai deciso di dare un vero colpo di scena, abbandonando l’ arte figurativa ed interrompendo l’attivitˆ espositiva, potresti spiegare a tutti gli appassionati
d’arte contemporanea siciliani i motivi della tua scelta?
MB: Semplicemente perchè il mondo dell’arte non mi coinvolge più. Non riesco più a prenderlo sul serio. Trovo che sia troppo autoreferenziale e, peggio ancora,
autocelebrativo, sia a livello di produzione che di sistema, cioè di tutto ciò che gira attorno alla produzione d’un artista, galleristi, critici, curatori,
collezionisti. Ho sempre inteso che fosse un grande gioco di società sin dall’inizio, ma, mentre prima quasi mi divertiva farne parte oggi non ci trovo più
nulla di creativo. E poi non ritengo che ci siano i presupposti di meritocrazia che a mio parere sarebbero necessari per dare un senso compiuto a tutto ciò
che avviene in questo sistema. Credo (anzi lo so per certo) che le persone con una coscienza storica, filologica ed una visione chiara ed onesta di quello
che si sta facendo oggi sono davvero poche e di queste pochissime svolgono un ruolo d’un certo rilievo.
Ciononostante l’arte, il fruirne ed il farla, è una parte fondante della persona che sono oggi e, credo, domani e per sempre. Non credo che potrò mai fare
a meno del silenzio e dei rumori del mio studio né, tantomeno, della meraviglia che ti suscita dentro il dar forma ad un’idea o ad una sensazione.
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2011
THE WHITE REVIEW
Interview with Manfredi Beninati – by Lowenna Waters
TIME, MEMORY, THE LANDSCAPE OF THE MIND, MANIFESTATION AND METAMORPHOSIS, RESURGENCE AND COLLAPSE AND THE CRISP CRUST OF SICILIAN PASTRY: ALL ELEMENTS OF THE PAINTINGS, DRAWINGS, SCULPTURES AND INSTALLATIONS OF MANFREDI BENINATI.
Based in Palermo, Manfredi started working as a contemporary artist in 2000 after a three year stint as a film director’s assistant. He has fostered a love for cinematography since his youth, when he often missed school after staying up all night to watch films.
In 2005 he represented Italy at the 51st Venice Biennale, at which he was awarded the audience prize. His ‘Diecembre 2039’ exhibition at the Max Wigram gallery presented a series of large-scale drawings of his close family: his mother, his girlfriend, his son and his brother, who has since passed away. Accompanying sculptures picked out and developed motifs from the drawings.
There is in Beninati’s work a manifest tension between serenity and anxiety. The works have an emotional power which harks back to the landscape of memory that links our childhood, adolescence and present.
QTHE WHITE REVIEW — You have described the process of working on thirty to forty drawings at a time as ‘an organisation of the imagination’?
AMANFREDI BENINATI — To me art is about sharing your personal experiences with the rest of the world. Therefore the difference between a good (significant) artist and a bad (insignificant) one derives from the quantity of yourself you let into your work. Personal experiences translate into memories resulting from a period of time during which you have learnt something that allows you to discern them in a more sophisticated way than before. The same applies to a work of art. You need time to develop something not necessarily pleasing to others but strongly personal. Something that even just in a single detail shows a hidden spot of our reality through the imposition of your point of view, through trying not to let the other’s expectations influence your work. I think you need to spend time with your work and develop a narrative, and that’s why I’m constantly working on so many drawings, paintings, sculptures. I keep each one with me for months or even years.
QTHE WHITE REVIEW — There is a restless emotional dichotomy in your work – a tension between serenity and anxiety. Is it something to do with your interest in being as objective as possible?
AMANFREDI BENINATI — Exactly… in life we experience good things and bad things. They are all necessary events in the making of ourselves, so we should treat both, goodness and badness (or serenity and anxiety) with the same amount of care and respect. Maybe one day we will wake up to find out that the roles have inverted, that good is bad and vice versa. That’s always possible.
QTHE WHITE REVIEW — Your work is often described as having a fragmented narrative; does this have anything to do with your passion for cinematography?
AMANFREDI BENINATI — I’d rather say that my passion for narration makes me passionate about cinema and art, as well as any other medium that allows you to tell a story. In my art it is true that there are always lots of fragments that, if you want, you can piece together following your own sense of narrative and make up your own story, your own film, if you prefer. This is more evident in my installations, which are always conceived as if they were film stills in three dimensions, depicting a moment when all the human characters have left the scene, and you can decide what’s happened a second before and what will happen a second after you have left.
QTHE WHITE REVIEW — Do you have any comments on the Venice Biennale; its place in contemporary culture, your contribution to the 2005 event and the upcoming biennale?
AMANFREDI BENINATI — When I became an artist in 2000 I didn’t know much about the contemporary art world, beyond MOMA, the Tate and the Venice Biennale. Those were my only three reference points. To the 2009 Biennale I sent a fresco portraying F. T. Marinetti playing noise on the intonarumori (an instrument designed by the author of The Art of Noise, Russolo) that I made in Los Angeles (my son Leone was born there a couple of weeks before). I could tell you a lot about my first Venice Biennale, the 2005 one, where I made my first installation ‘To take notes for a dream that begins in the afternoon and continues through the night (and is not cancelled out on awakening) or Waking up on a beach in the scorching sun.’]. It was a cinematographic set made by professional set carpenters at Cinecittà in Rome. It was a great experience.
QTHE WHITE REVIEW — Do you think contemporary artists have any moral duty to civil society?
AMANFREDI BENINATI — This is a recurring question in my interviews, so I can answer it by memory: yes they play a very important role in society. Their role is opposed to philosophies. Art reveals mysteries concerning us as individuals and society, whilst philosophy explains why they are there. The moment that an artist turns philosopher (which happens often) then things don’t work anymore. André Bazin influential French film theorist] once said that cinema is anything between Hitchcock and Antonioni. I would quote him saying that society is anything between Art (any form of art) and Philosophy (symbolizing knowledge, rationality).
QTHE WHITE REVIEW — Are the concepts of truth and beauty interesting to you?
AMANFREDI BENINATI — Actually, not at all. Unless by beauty you mean balance, in which case I would reply, maybe. And… Unless you mean realism by truth, in which case I would say… certainly yes. The two issues come together for me. My own balance is the fulcrum of my work and is obtained partly by juxtaposing realism and blurred, undefined, incongruous elements.
QTHE WHITE REVIEW — I have read you compiled a catalogue of artists who you have learnt from and who have influenced your work. Who is in it?
AMANFREDI BENINATI — Have I? I don’t remember doing it but I can satisfy your curiosity anyway. Here are the first ten to come to mind: Marco Ferreri, Ermanno Olmi, Franco Piavoli, Andrej Tarkovskij, Medardo Rosso, Piero della Francesca, Giorgio de Chirico, Giacomo Serpotta, Gaetano Zumbo, Homer.
QTHE WHITE REVIEW — Folkloristic, poetic amalgamations of images are formed in your drawings and paintings; do you have any comments on these themes?
AMANFREDI BENINATI — They represent my personal imagery, I guess. They just appear in my works without being invited. You know how it is when you are working in your studio completely absorbed in your world. Things sometimes just happen by themselves. Sometimes you even have to fight against disorder, and that takes a lot of energy to control, to try clear the work of the junk that keeps accumulating. That’s what happens in my studio, at least.
QTHE WHITE REVIEW — The series of drawings and sculptures I saw exhibited at the Max Wigram Gallery in the exhibition Dicembre 2039 each focused around a specific protagonist; your mother, your girlfriend, your late brother. Can you tell us about this show?
AMANFREDI BENINATI — The drawings in that show were made over a period of seven years, the sculptures over a couple of months. I made the first of those drawings back in 2003-2004 and was intending it to be part of my private family album along with another ten or so drawings, each one depicting the private, inner world of my closest family. This body of work was not conceived to be shown in public but to remain part of my private collection of my own works. It all started when I moved to a very big studio in Rome where the vastness of the space enticed me to make what I had been doing up to then drawings] in a much larger scale. In 2004 one of them ended up being shown at an exhibition at the Royal Academy in London where it remained after a gallerist sold it to an English collector without asking me first, so that my project was left severed from the piece that started it, titled ‘Flavio and Palermo’ and dedicated to my brother who passed away in 2006. I eventually decided to do the Dicembre 2039 exhibition just too re-unite Flavio with the other members of his family. My wife (who never met him) is there with our son Leone.
QTHE WHITE REVIEW — In an interview conducted for UOVO magazine in 2007, when asked about emotional themes in your work, you said ‘I hate good people.’ Could you elaborate?
AMANFREDI BENINATI — That interview was formulated in Italian and then translated into English, so it could be either a case of misinterpretation or incorrect translation or just me lying, which is something I do a lot, especially in interviews where I make up stories that, of course, get taken seriously by the interviewer. I believe that an artist should only tell his truth through his work, although I love talking to people in words. It is also true that I tend not to trust “nice” people, anyway.
QTHE WHITE REVIEW — From your work I’ve learned things about your life and those of other people. Would you say that art is, and is about, people?
AMANFREDI BENINATI — Art is about us humans, of course. We invented it, didn’t we?
QTHE WHITE REVIEW — Your works present the internal connection that links us to our childhood, adolescence and the transient present: do you think these memories constitute an individual?
AMANFREDI BENINATI — Indeed they do. I think our whole adult lives revolve around our childhoods. We are all looking for the flavours and smells of the time when we were innocent.
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2011
ESFERA CRITICA
“El arte nos revela misterios, la filosofía trata luego de explicárnoslos” –
Entrevista de Gema Melgar con Manfredi Beninati.
En declaraciones en su reciente inauguración de Dicembre 2039 dice “Desde los comienzos de mi carrera artística he hecho cosas para mí mismo, cuadros y esculturas que no tenía la intención de mostrar en ninguna parte…” Según tengo entendido, parte de estos cuadros ‘privados’ conforman esta exposición, ¿que le hizo cambiar de idea y mostrarlos?
El caso de esta exposición es bastante particular y la historia bastante larga. Empieza en el 2003 cuando hice el primer dibujo (lápiz y yeso / papel / panel de madera) de tamaño “muy” grande (260x300cm) que desde el principio iba a ser parte de una serie dedicada a mi familia. Lo que pasó entonces fue que mi galerista de Roma se lo dejó a un comisario para una exposición en la Royal Academy de Londres, sin que yo supiera nada… Este dibujo (Flavio y Palermo) nunca regresó a mi estudio (se lo compró Jay Joplin) y mi proyecto se quedó mutilado. Fue por esta razón que lo dejé más o menos ahí, hasta hace un par de años. Flavio era mi hermano, que murió en el 2006, y yo quería que se volviera a juntar con su familia. Hicimos esta muestra para que esto pasara. Como ves fue algo fuera de mi control y tuve que adaptarme a las circunstancias…
En su obra se intuye una lucha entre pasado, presente y futuro, creo que el tiempo está muy presente. Trae épocas pasadas al presente como con fruits from a nearby ocean o to think of something. Pero con Dicembre 2039 por primera vez sitúa su obra y al espectador en el futuro. ¿Por qué?
Claramente te refieres al título! En el 2039 Leone, mi hijo, tendrá 30 años, lo que yo considero la edad clave de la vida de una persona. Los dibujos en la muestra son el álbum fotográfico de su familia y, como pasa muchas veces a fotografías y películas que no se han guardado y tratado con cariño, las imágenes que le llegan están muy deterioradas. Es una cuestión de memoria. Imagínate que sería la vida sin memoria! Y una persona que no se acuerda de lo que hizo el día anterior y que cada día pierde (que se le olvida) todo el trabajo que había hecho el día anterior?
He leído que trabaja en 30 o 40 cuadros a la vez, y lo primero que se me ha venido a la cabeza es ¿durante que espacio de tiempo?
Muy largo, sin duda. Puede variar de un mes a tres años según la naturaleza del trabajo. En este momento, aquí en mi estudio hay un número impresionante de trabajos. Miro alrededor y veo esculturas empezadas hace cuatro años, dibujos empezados en el año 2000 o 2001 y pinturas nuevas que ya están casi terminadas al lado de otras viejas de hasta hace cinco años, que nunca termino.
Siguiendo con la pintura, en su técnica emplea raspado y dripping, y colores en tonos pastel mayoritariamente o también dibujos en blanco y negro. Esto me da la impresión que construye a propósito una imagen gastada, que no podemos ver bien o mejor dicho, que nos ofrece otra manera de ver.
Exactísimo. La pintura al oleo para mí es puro color. Deja que sea la contraposición de dos colores la que crea el espacio necesario para un volumen.
¿que le ofrece la pintura como medio para expresar lo que quiere narrar?
La cosa que más me excita de la pintura es el hecho de que, después de todo, sea la técnica reina de la historia del arte. Que siempre ha existido y que por los últimos seis siglos no ha cambiado nada. Esto hace que sea posible comparar artistas de épocas distintas de una forma muy clara y linear. Por lo tanto es más fácil leer la evolución de la sociedad humana a través de la pintura, como lo permiten la literatura y la música. El video-arte (que es incluso muchísimo más joven que el cine, que ya en sí es un medio expresivo bastante naïve debido a la falta de historia progresiva) no tiene término de comparación, es por esto que creo que es más un medio lúdico que artístico.
El tema de la infancia es recurrente en su obra, en cuadros e instalaciones hay signos que evocan la existencia de esa realidad infantil, juguetes, bicicletas de niños… pero, en el caso de las instalaciones, la figura desaparece. Esta ausencia (en particular de niños, pero en general de personas) siento que dota a la imagen de una sutil siniestralidad, un sentimiento desapacible, cercano a lo ‘umheimlich’ de Freud, pero que se nutre además de referencias del imaginario colectivo. ¿es esta su intención?
Más que nada creo que mi intención es encontrar una forma de reorganizar las cosas de la vida y del mundo que me rodea según un plan sin jerarquías y donde el orden de las cosas (objetos físicos y también inmateriales, como podría ser una emoción o un sentimiento) sea representado a través de un equilibrio precario que solo mantiene su forma si cada elemento respeta el espacio de los demás. Me doy cuenta que probablemente no estoy siendo bastante claro pero es que así es. Hablando de la ausencia de personas en las instalaciones, se debe al hecho de que lo que me interesa representar es la cristalización de un momento de la vida cotidiana de un ser humano, para que luego los espectadores puedan cada uno imaginarse su propia versión de la historia. Como si se tratara de una película de la que solo está disponible un frame y tú tienes que inventarte todo el resto. Aunque este frame está grabado en tres dimensiones, y la escena tiene que parecerte lo más realística y natural posible, no puede haber una presencia material de seres humanos, que, de hecho, acaban de salir de la escena para, después (tal vez) regresar.
En sus instalaciones el espectador, como voyeur, sólo puede mirar desde determinadas ventanas, puertas o agujeros, ¿por qué lo sitúa ahí? ¿es esta imposibilidad de entrar (a un escenario del pasado) una metáfora porque la única manera de revisitarlo es a través de imágenes?
En realidad, si puedes volver al pasado usando tu imaginación… Aunque haya hecho instalaciones donde el público tenía acceso, como tú bien dices, la mayoría de las veces no lo permito por varias razones. En principio es muy importante que se establezca una relación donde le quede claro al espectador que lo que tiene enfrente de sus ojos es una obra de arte. Y una ventana lo deja claro bastante rápido, enmarcando la escena como si fuera una pintura. Después, el cristal de la ventana siempre influye de alguna manera en la percepción óptica de lo que está detrás de él (reflejos, suciedad, etc). Y por último, te recuerda que tú no perteneces al mundo que estás mirando y que tampoco te pertenece. Lo que estás mirando es el pensamiento de otra persona, la idealización de la vida de otra persona que está siendo generosa al mostrarte sus dudas y sus certezas.
Me interesa la cuestión de la memoria selectiva en relación a la percepción visual, y creo que en su obra se puede ver en gran medida, también ligada a una tendencia fetichista. ¿por qué nos quedamos con unos recuerdos y otros no y por qué nos aferramos a ciertos objetos? . ¿Cómo concibe las imágenes que representa?
Creo firmemente que cada uno tendría que hablar de lo que mejor conoce, representar su propia experiencia y su propia vida de la forma más sincera posible. Todos los elementos representados en mis trabajos llegan directamente de mi pasado. Voy sacando recuerdos de mi álbum fotográfico imaginario y los voy devolviendo a la vida a través de mi trabajo. Sí, estoy de acuerdo, esto es todo muy fetichista…
Susan Sontag define una obra de arte como una manera de mostrar, de grabar o de ser testigo, la cual da forma palpable a la conciencia. ¿Cómo definiría usted al crítico de arte?
Estoy de acuerdo con Sontag. El arte es la conciencia de la sociedad humana. El arte nos muestra, nos revela misterios, lados desconocidos de nosotros, de la sociedad. La filosofía trata luego de explicárnoslos.
Sobre los críticos tengo un conflicto interior. No me puedo decidir. Es exactamente lo mismo que siento hacia los artistas. Hay buenos artistas y malos artistas así como hay buenos y malos críticos. Si un crítico de arte tiene conciencia filológica, histórica y sobre todo memoria universal, entonces se puede volver la clave de todo.
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2011
EXIBART
“Archive Fever”
Il curatore dell’Archivio Sacs, Giovanni Iovane, parla della nuova sede milanese di questa raccolta che ha come base il Museo Riso di Palermo. Un discorso sulla sua idea di Archivio e sulla sempre più rigogliosa arte siciliana…
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Qualora fosse possibile, riuscirebbe a tracciare differenze o analogie tra gli artisti inseriti in archivio e artisti appartenenti ad altre realtà artistiche? A tal proposito mi vengono in mente centri culturali come Berlino, Londra, Milano…
Questa dei centri artistici è una tendenza nata circa venti anni fa quando, in paesi con situazioni economiche differenti rispetto all’Italia, caratterizzata da una economica abbastanza mediocre, si tendeva a creare un “marchio”. Questo orientamento ha provocato la nascita di “scuole” o gruppi di artisti accomunati da simili linguaggi o poetiche, vedi per esempio l’arte inglese o la scuola di Lipsia. A parere mio, queste sono solo etichette legate alle tendenze e alle mode del momento. In merito a ciò, mi viene in mente il lavoro di Manfredi Beninati (Palermo, 1970) nel quale riconosco un linguaggio estremamente pittorico, dal carattere internazionale, e migliore rispetto a quello di artisti appartenenti, per esempio, alla precedente citata Scuola di Lipsia.
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2011
IL GIORNALE DELL’ARTE
“Manfredi Beninati, le voci di dentro” – di Giusi Diana
Palermo. «Le voci di dentro» è il titolo della mostra di Manfredi Beninati ospitata in questi giorni presso la galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea e visitabile fino all’11 di aprile.
Per questa sua seconda personale nella galleria palermitana, che si avvale della collaborazione di Raimundas Malasauskas, l’artista ha prodotto un’installazione ambientale che fin dal titolo, «Il 6 di agosto del 1975», traspone l’osservatore in un tempo sospeso, che è quello della memoria e del ricordo, facendolo riaffiorare lentamente, come in un sogno al risveglio. L’uso sapiente sulla «scena», perché di questo si tratta, di una luce ridotta al minimo e proveniente da due diverse fonti: l’una riscaldata dalla fiammella di una stufa e l’altra pura e aurorale proveniente dal riflesso di una finestra su uno specchio (a ben vedere, una lanterna magica che ci riporta all’archeologia del cinema, primo amore dell’artista), giocano con l’osservatore conducendolo per mano sulla soglia di un mondo onirico visto al chiaroscuro. L’interdizione a entrarvi completamente è però suggerita dalla presenza della quinta teatrale realizzata con vecchi mobili accatastati, costringendo ironicamente lo spettatore a rimanere tale. Affascina, come sempre nei suoi lavori installativi (vedi Biennale di Venezia del 2005), e convince il lavoro dell’artista di origini siciliane che con questa mostra ritorna nella sua città facendole un omaggio sussurrato, situandolo a metà tra l’elegante inchino e il grazioso sberleffo.
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2011
CASSAROUTE
“Manfredi Beninati, Le Voci di dentro alla Galleria Francesco Pantaleone”
di G. G. Blando
Una stanza arredata con mobili antichi, la specchiera della nonna rimasta intatta, la luce fioca e calda di un lampadario che riflette sul cristallo. Su di una scrivania rimane una vecchia macchina da scrivere, usata, che ha perso lo smalto del colore posseduto quando era stata acquistata. Fogli sparsi dovunque, accartocciati, i resti di un lavoro faticoso, le ore di lavoro sprecate per seguire le ambizioni e le fantasie di uno scrittore o di un giornalista. Cosi’ si presenta l’ installazione di Manfredi Beninati, “Le voci di dentro”, visitabile su appuntamento, presso la Galleria Francesco Pantaleone, fino al 11 Aprile 2011. L’installazione ricrea un ambiente interno, la stanza di un’ abitazione privata e permette di soddisfare la curiosità di chi vuole guardare la vita degli altri. Sulla specchiera si riflette un paesaggio caldo, con i riflessi aurei del tramonto, le ombre delle piante in giardino, tutto sarebbe perfetto, se fosse vero, ma ci si rende presto conto di aver vissuto la magia di un’ illusione, di essere stati trascinati in una dimensione spaziale del tutto costruita, come in un setting cinematografico. L’ illusione rassicurante scompare, lasciando il posto alla finzione che smaschera quel dolce tepore magistralmente regalato al fruitore. L’ atmosfera è crepuscolare, intima, i fiori sono finti, come falso è il bene prefigurato dagli arredi e gli oggetti che prefigurano un ambiente borghese, un lavoro intellettuale, il gusto della tradizione. L’ installazione crea un’atmosfera ambigua. Tante piccole buone e belle cose lasciate e abbandonate , ma l’ opera crea il desiderio di vivere realmente per contrasto quella dimensione privata fatta di certezza, sicurezza, sogno, in chi l’ ha realmente vissuta o chi , invece, ne può avvertire per un momento l’ incantesimo dell’illusione.Manfredi Beninati è nato a Palermo, la sua pittura si situa nella sfera dell’ illusione del sogno turbato della infanzia, realizzando tele consunte dal tempo che trattengono il ricordo di una dolcezza scomparsa.
I colori perdono la consistenza , tutto si distrugge e perde l’ iniziale freschezza, proponendo un senso della vanitas, quel senso di morte e di estinzione che logora l’esistenza, soffocando a stento le voci di dentro che ricordano e mantengono intatti oggetti e sentimenti ancora vivi nelle stanze dell ‘ interiorità.
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2010
RICH PEPPER
Work of the week: Manfredi Beninati
From Dicembre 2039, an exhibition of Manfredi Beninati’s work at the Max Wigram gallery (now sadly finished), which featured five drawings of Beninati’s perspective on the life of members of his family.
Untitled (Sunday 16 July 1975) 2010, © Manfredi Beninati, Pencil, acrylic gesso and pigments on Fabriano paper on wood (four panels), 300 x 260 cm
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2010
HAUS DIGITAL
Manfredi Beninati: Dicembre 2039 – by Lowenna Waters
Time, memory, the landscape of the mind, resurgence and collapse, manifestation and metamorphosis, dichotomy, childhood and the crisp crust of Sicilian pasty: all elements of the paintings, drawings, installations and sculptures made by the artist Manfredi Beninati.
Having been a representative of Italy in the 53rd Venice Biennale in 2008, Beninati has always created works that are only for him, commenting how his “paintings and sculptures are not meant to be shown anywhere else.” He studied law but has always fostered an intense love for cinematography: consistently skipping school in his youth after staying up all night watching films. This cinematic set has been a consistent strand through his work, which first became internationally recognised in 2000, after a three year stint working as directors assistant. His work fosters a broken narrative, with folkloristic references placed within a poetic memory space. Mimetic in their distortion of time and space, there are kitsch cultural quotations placed within his grandmother’s large clean house with marble fireplaces.
The Max Wigram Gallery in Bond Street represents the artist, and is currently showing his latest body of work Diecembre 2039. The protagonists of these large scale pencil drawings are personal to Manfredi: his mother, his girlfriend, his brother who has since tragically passed away. They are subjective, intimate representations of each person’s life. Accompanying the drawings is a series of plaster sculptures that pick out motifs present in them, the sculptures melt within the plaster, spattered with pastel neon colours. They are reminiscent of Medardo Rosso, images roughly hewn from the stone in which they are made. Manfredi regularly works on 30 – 40 paintings at a time, describing the process as an organisation of his imagination.
The dichotomy present in Beninati’s work is manifest in the tension between serenity and calm and an undercurrent of anxiety. They have an emotional power, which harks back to something we can all relate to: the muffled, confused, dreamlike internal landscape of memory that links us to our childhood, adolescence and the transient present.
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2010
MODERN EDITION
Identity in transformation: Italian contemporary art
Identity and transformation: two themes which have always fascinated artists remain as salient as ever. Emphasis, for example, on socio-political transformation permeates Chinese and Eastern European art; preoccupation with the characteristics of past movements and their contemporary relevance continues to influence much German production.
It’s tempting, however, to suggest that recent Italian art (we refer here to work produced by artists up to the age of 40) has opted for the most fundamental investigation of all: a questioning of the very nature of identity in its manifold forms, a labyrinthine undertaking that has given rise to equally fascinating works. …
Smudged as if by rain, striations of colour partially obscure Manfredi Beninati’s scenes plucked from memory or adaptations of grand classical themes such as the still-life or vanitas.
Various layers become a single visual plane, the stripes of obfuscation reminiscent of Gerhard Richter’s vigourously smeared abstractions.
In one sense, Beninati’s modus operandi seems an assault on the academic representation with which his works are initially created, a questioning of its validity, and power to adequately represent. Yet since his over-painting is only partial, the resulting abstract-figurative hybrid hints at a wider irresolution, a state of flux between opposing forms of facture.
This uncertainty is mirrored in his sculpture and installation. Forms in white plaster, their pristine surfaces evocative of classical statuary, are daubed and pigmented with candy colour. Elaborate installations are often inaccessible, viewable only through cracks in a wall or dark glass to become, essentially, flattened like a photograph.
Abstract or figurative? Sculptural or painterly? Three or two dimensional? Manfredi’s completed works remain in a state of incompletion – or even, it could be said, over-completion – replete not only with pictorial suggestion, but a constant shifting between formal identities.
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2010
PRESS RELEASE MWG
Manfredi Beninati, Dicembre 2039, Press Release – by M. F. Kittler
I have since the very beginning of my artistic career been making things for myself, paintings and sculptures not meant to be shown anywhere else… Manfredi Beninati
Manfredi Beninati creates lands of fantasy reinventing rarefied, dreamlike experiences, exposing fragments of inner worlds, and exploring ideas of journey, memory, the struggles of life and the securities of childhood.
In Dicembre 2039, his most personal work to date, five large-scale drawings hauntingly portray members of Manfredi’s family; his mother, girlfriend, son, father and brother Flavio who has since tragically died. Each large-scale black and white drawing illuminates Beninati’s intimate perspective on the person’s life, whilst an accompanying sculpture evolves an element in the work – a chair, a tree, animals, a pastoral scene… Begun in 2003 as a long-term private project, the intricately detailed works draw inspiration from the family photo album and Beninati’s memories and experiences to reveal the subjects’ inner worlds and lives.
Manfredi Beninati began working as an artist making sculptures, figurative and still life paintings in 2000, drawing directly on real or imaginary childhood memories. His installations appear to be deserted sets, spaces that are often inaccessible, seen only through cracks or darkened glass soliciting a sort of voyeurism, and using art, film and literary references to great emotional effect.
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2010
CURA
Dicembre 2039
Manfredi Beninati si muove attraverso temi quali il ricordo, la fantasia e il viaggio, capaci di investire le sue opere di un’atmosfera rarefatta e sognante. Ed è questa sensazione a essere evocata anche dai lavori presenti nella mostra personale Dicembre 2039, alla Max Wigram Gallery di Londra.
L’esposizione, che raccoglie cinque grandi disegni in bianco e nero e una scultura, parte da un lavoro intimo e personale dell’artista iniziato nel 2003, che scava nel suo vissuto attraverso le immagini dei suoi parenti: la madre, il padre, la compagna, il figlio, il fratello morto tragicamente, emergono dal passato e dai ricordi come da un album fotografico.
1/4 Manfredi Beninati, Untitled (Sunday 16 July 1975), 2010, 300 x 260 cm, pencil, acrylic gesso, pigments on Fabriano paper on wood (four panels)
2/4 Manfredi Beninati, Untitled (Sunday 14 August 1981), 2010, 300 x 260 cm, pencil, acrylic gesso and pigments on Fabriano paper on wood (four panels)
3/4 Manfredi Beninati, Flavio e Palermo, 2004, 300 x 250 cm, pencil, acrylic gesso and pigments on Fabriano paper on wood (four panels)
4/4 Manfredi Beninati, Untitled, 2010, plaster, pva, pigments on wood and steel, 56 x 37 x 23.5 cm, plinth 110 x 37 x 23.5 cm
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2009
UPSTAIRS BERLIN
INTERVISTA DAL LIBRO “AUS KüNSTLERSICHT”. 2009
Da “Aus Künstlersicht – 13 Fragen – 51 Interviews”, di Aeneas Bastian e Harriet Häußler, Galerie Upstairs, Berlin
Questions to Manfredi Beninati from Dr. Bastian
1. What is art?
This is how I answered the first time somebody asked the same question. I just found it in my hard disc and tought it would be interesting to compare it with my new point of view (at that time I only had one or two years experience in the art world):
“Dear Mustafa’,
you asked me to write a few words on art (“my” art? Boh!) and, well, I have to say that I’m not too good at writing since painting and drawing is all I’’ve been up to lately, like most people in my business, I guess. I have to try and guess it because I don’t know that many artists and hardly spend time with the few ones I know and whenever I do we hardly talk about art. Art is, in fact such a private part of my life that I rather deal with it privately. It has been the fulcrum of my entire life since the day I discovered its healing power, since the day I found out that making it is even better than just watching it. You enjoy it twice as much than a passive spectator. And you learn more and want to push further and further. And it is all so thrilling because you never know where things could lead you to. There is a sentence that is probably the most frequently recurring sentence (nearly a stock phrase) in art history which is credited to different artists by different sources that says roughly: ‘at each touch I risk my life’. Well I used to regard it as a pathetically pompous statement (deriving from romantic ideals of struggling artists etc) and I still do partly, but partly don’t anymore. Because I now know that it is true that art (just like life) is mostly about taking risks that means opening oneself up and dealing with whatever is in it regardless of consequences. Then once you have done that, you wait and see what happens. Sometimes you get amazing things in return. Sometimes you can feel like you were time-travelling and you get transported back to your childhood or forward to the future that you will never get to see. And you are the same age in both cases. Sometimes my feet are very ticklish and my eyesight blured and I wonder how could Piero della Francesca long for what he longed for and why couldn’t he do things the opposite way. Sometimes I let a little flower mesmerize me for dozen and dozen of seconds sometimes for minutes and minutes and that’s even more beautiful than getting lost in a beautiful idea.
Manfredi Beninati ………..June. 2004″
Today I will just say that it has a very specific and foundamental role in human society. That of revealing new, unexpected or unnoticed sides of things around us. It has to show and explore hidden corners of our collective imagery without ever trying to draw conclusions or to explain things, though. that’s not its task.
2. Which late artist would you have liked to meet?
Medardo Rosso. Alternatively Marinetti.
3. Who or what is your role model?
Nature.
4. Who or what has led you to become an artist?
A bet with my brother Flavio and my ex girlfriend Lourdes.
5. Where did you grow up? How do you remember this time?
In Palermo with my mother and brother. Of course it was the best part of my life to date. I reckon your life is about your childhood, really. whatever happens after that age is not that significant. I feel adulthood is about searching for the flavours of childhood.
6. Where and when would you have liked to live?
In 12th century’s Tuscany would be fantastic to spend a couple of weeks just to look around, but I’m happy with the place and time I lived and live in.
7. Which work of art do you personally consider the most important of all times?
There are many, too many. I don’t believe in hierarchies or classifications, anyway.
8. Which is your favourite museum and why?
I don’t have one, actually.
9. Who has decisively influenced your career?
Flavio and Lourdes, Steve McCoubrey, Lorcan O’Neill, Paolo Colombo, James Cohan
10. What is the key question in your work?
a) How do I get there?
b) Why are people so superficial?
c) How would time interfere with or change my work or the perception of it?
11. Where do you get your inspiration from?
Within myself. From the fading memories of my experiences.
12. What do you consider the most important work of yours?
My life, seriously!
13. Where do you see yourself in ten years time?
I could be dead by then. Although I’d love to be alive and still able to work, in which case I’d have produced enough work to be almost satisfied.
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2009
CURA
“Incontro con Manfredi Beninati”
S.B. Davanti alle tue opere assistiamo come spettatori a inquadrature d’interni e figure, dei primi piani spesso, sfocate, che evocano azioni interrotte, come un sogno poco prima del risveglio, di narrazioni filmiche. Cosa resta nei tuoi lavori più recenti dei tuoi esordi nel cinema?
M.B. Tutto. Io vedo e vivo la vita come una pellicola.
S.B. Vuoi dire che riesci a selezionare i momenti, rimontando il tutto secondo un preciso disegno?
M.B. No. Intendo dire che cerco sempre di immaginarmi gli sviluppi futuri (prossimi e remoti) di ogni avvenimento e di ogni mia azione. Inoltre cerco sempre di immaginare cosa è avvenuto nel lasso di tempo in cui ho perso di vista l’evoluzione di una storia. È un gioco che faccio da sempre.
S.B. Quest’anno le tue opere saranno presenti nel Padiglione Italia della Biennale di Venezia e nella sezione Italy: No More than a Point of View della prossima biennale di Praga. Che cosa hai di italiano? Che cosa le tue opere?
M.B. Beh sono italiano e sono cresciuto in Italia e tutta la mia formazione è avvenuta in questo paese ed in questa cultura. Aver vissuto tanti anni all’estero (oggi vivo tra Palermo e Los Angeles) mi fa apprezzare ed amare la storia e la cultura di questo paese. Il cinema italiano ad esempio lo considero il più ricco, il Futurismo mi pare senza dubbio il movimento da cui nasce tutta l’arte dell’ultimo secolo, ma anche l’architettura (vedi Sant’Elia), la musica (vedi Russolo), la fotografia (vedi Bragaglia) ecc. Insomma vivendo fuori da questo microcosmo provincialissimo che è (culturalmente parlando) diventato questo paese nell’ultimo secolo, ho potuto elaborare un rapporto più onesto e libero con la nostra cultura che probabilmente mi rende più italiano di chi da qui non s’é mai mosso ed ha il mito dell’estero.
S.B. I “personaggi” dei tuoi quadri sembra emergano dall’opacità della dimenticanza in frammenti, o still per tornare al linguaggio cinematografico, in atmosfere di intensa intimità, grazie ad un uso vibrante del colore, che richiama certi ritratti di Balla, come la celebre Fidanzata al Pincio (1902). Come ti poni invece nei confronti delle esperienze dell’Arte Povera, che pure si sono mosse da alcune posizioni del Futurismo?
M.B. In realtà credo di non aver nulla in comune con nessuno dei due movimenti che hai appena chiamato in causa. Il fatto che io ammiri, anzi che riconosca la paternità dei neologismi artistici del secolo scorso e di quello in corso, e la forza dirompente delle parole e delle azioni dei futuristi di cento anni fa, non vuol dire che io sia assimilabile a loro in alcun aspetto. Infatti non credo di esserlo né esteticamente né emotivamente né tantomeno ideologicamente. I miei quadri, così come le mie istallazioni e generalmente tutto il mio lavoro nasce da altre esigenze, altri interessi ed altre visioni della vita. Anche tecnicamente esiste tra il modo di procedere di Balla ed il mio un abisso. Io dipingo a strati senza mai avere un progetto o un soggetto preciso; Balla dipingeva un’idea concreta chiaramente decifrabile davanti ai suoi occhi e lo faceva riempiendo in maniera densa anche quando rappresentava la luce. Io non so mai cosa succederà in un mio quadro. Ci lavoro a sei mani col tempo e con la casualità. In più ciò che può apparire come un soggetto o addirittura “il” soggetto di un mio quadro in realtà è sempre lì per caso. C’è finito dentro senza che io me ne accorga. È un elemento come può esserlo una colatura (questa spesso apparentemente casuale) che serve a trovare equilibrio in quella idea che é il quadro stesso. Idem rispetto all’Arte Povera.
S.B. Come me, hai origini siciliane. Dopo anni trascorsi tra Roma, Londra, Buenos Aires sei tornato a vivere a Palermo. Da qualche settimana hanno inaugurato in Sicilia nuove istituzioni dedicate al contemporaneo, mi riferisco a Palazzo Riso nella tua città e alle due fondazioni, Brodbeck e Puglisi-Cosentino, a Catania, dove era già attivo da qualche mese lo spazio di sperimentazione artistica BOCS, realtà che hanno la decisa ambizione di radicarsi nel territorio. Credi che i tempi siano maturi per un confronto sul contemporaneo, non semplicemente episodico, in Sicilia?
M.B. Sì mi fa molto piacere vedere Palermo e la sua gente fare cose normali, andare a convegni sulla situazione dell’arte contemporanea piuttosto che all’inaugurazione d’una mostra al Sant’Anna, al Sant’Elia, a Palazzo Riso, ecc. È un bel gioco ed è anche un moto per attivare o riattivare certi settori anche dell’economia locale ecc, comunque io non credo nel sistema dell’arte di oggi. Anzi da qualche tempo ho come la sensazione che presto questa bolla di sapone scoppierà. Più o meno come è avvenuto recentemente nel settore della tecnologia informatica.
S.B. Però tu in questo sistema sei inserito (sei rappresentato da gallerie internazionali, etc..). Come ti prepari a questo “scoppio”? Così chiedendoti dei tuoi prossimi progetti…
M.B. Realmente credo in quello che faccio e lo faccio con profondo senso di responsabilità. Non però, nei confronti del sistema dell’arte ma della storia dell’arte e dell’evoluzione della nostra società (quella umana intendo). Non che (ovviamente) creda che ciò che faccio sia altamente importante rispetto a ciò, ma credo che ognuno di noi debba accollarsi le proprie responsabilità verso gli altri e verso il mondo e la natura. Credo che ognuno di noi contribuisca nel bene o nel male a questa evoluzione qualsiasi sia l’entità del proprio apporto. Dunque lavoro con questo spirito, cercando di non esser mai pigro né qualunquista né di lasciar che gli altri facciano i miei compiti. I miei prossimi progetti saranno, appunto i miei prossimi progetti dopo i prossimi e così via. Contribuiranno a far sì che io capisca meglio il mio mondo interiore e che magari scopra un angolino nascosto che possa contribuire al processo evolutivo di cui sopra. Come dire ogni “fegatedd’i musca è sustansa” come si dice! Per chiudere… Non ho mai fatto (e mai lo farò, almeno spero) nulla per compiacere gli altri. Nulla di ciò che il “sistema” o peggio il “mercato” chiedeva o si aspettava perché non è né la fama né il riconoscimento che m’interessa, ma piuttosto la curiosità di vedere dove mi porterà la mia ricerca. Io stesso non saprei spiegarti come sia successo che io oggi sia un artista discretamente conosciuto e, in certi ambienti, tenuto in considerazione. Forse… fortuna?!
di salvatore bellavia
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2009
PRIDE AND PREJUDICE
Manfredi Beninati (Rearranging the Landscapes Around)
by Nao
The subject of this exhibition is “mother and father”, so the titles of his works are also “mother” and “father”. The atmosphere of paintings is “Wonderland” of Lewis Carroll.
He uses a lot of colors, and puts the paints again and again on the main motif. The way of drawing brings the great depth to his works.
“mother”, this work is just “Wonderland”, I could find a little girl easily in the painting. I felt innocence covered ages as mentally aspect. The complicated lines express age year by year.
“father”, this one was very symbolic, and I felt physically aspect, and I think that it shows gender.
The extreme is very impressive. The feel of wonderland is same, but the inner side is different…. It’s really fun to see artist’s mind.
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2009
URBAN
INTERURBANA
al telefono con Manfredi Beninati
di Francesca Felletti
LOS ANGELES
«QUI A L.A. È TUTTO PIÙ RILASSATO E PROVINCIALE.
INCREDIBILMENTE, SE SI CONSIDERA QUANTO GRANDE,
POPOLOSA E CONOSCIUTA SIA LA CITTÀ»
Che cosa ami di L.A.?
I paesaggi visti dalle freeway e il ritmo lento della
vita. È un mondo senza stress, messicano, dove non
è possibile fare più di un paio di cose in una giornata
date le distanze, ma si lavora benissimo. C’è tutto lo
spazio fi sico e mentale per dedicarsi a quello che in
città iper affollate non è facile fare.
Che cosa odi di L.A.?
Che sia a tante ore di volo dal resto del mondo
“utile” e che sia tanto diffi cile riuscire a mangiare
decentemente.
Com’è la tua casa?
Vivo in una villetta anni ’20 a Echo Park che la mia
fi danzata Milena (Muzquiz, musicista cantante e
performer dei Los Super Elegantes, n.d.r.) ha comprato
poco prima che ci conoscessimo nel 2006.
È una casa arts&craft su tre livelli tutta in legno,
immersa in una macchia di verde lussureggiante che
si arrampica su per la collina… insomma un piccolo
paradiso!
Il quartiere è misto: proletario ma anche un po’ chic.
E c’è una popolosissima comunità di musicisti più o
meno conosciuti nella zona che si ritrovano al Chango,
un bar a tre minuti da casa mia.
Quanto conta la collina di Hollywood?
Cinema e musica sono i settori principali dell’economia
cittadina: entrambi esercitano un’infl uenza enorme
sul modo in cui L.A. si sviluppa. Per esempio, qui fi no
a poco tempo fa si poteva ancora guidare parlando al
cellulare e questo, pare, per consentire ad attori, registi
e produttori di andare in giro facendo affari dalle loro
auto scoperte!
È facile incontrare un divo?
Per la strada no, alle feste sì.
In che cosa sono diverse Palermo e la città degli
angeli?
Palermo è un concentrato di arte, culture e storia, tre
cose che a Los Angeles non esistono. Ed è bagnata
dal mare più bello del mondo con cui la gente ha
un rapporto di amicizia straordinario, mentre a L.A.
l’oceano è vissuto quasi come un’entità estranea e
minacciosa.
E per quello che riguarda il mondo dell’arte
contemporanea?
Qui a L.A. è tutto più rilassato e provinciale.
Incredibilmente, se si considera quanto grande,
popolosa e conosciuta sia la città. A differenza di altri
grandi centri, il collezionismo non gioca un ruolo così
importante e anche i musei e le gallerie hanno un non
so che di atipico. Per un artista è un luogo ideale per
produrre, ma non per far carriera. D’altronde è una
città di confi ne lontanissima fi sicamente e idealmente
dai centri che contano. L’Italia è al centro del mondo
dell’arte, geografi camente e culturalmente. Basti
pensare all’enorme infl uenza che i nostri artisti hanno
da sempre. Palermo, nonostante sia ai margini, è pur
sempre nel centro del Mediterraneo, a due ore di volo
dai luoghi che contano. Ed è sempre più una città di
tendenza, dove si lavora abbastanza bene in termini di
produzione.
Non capita tutti i giorni di essere invitato alla
Biennale di Venezia. Che cosa presenti?
In realtà espongo contemporaneamente due affreschi
gemelli alle Biennali di Venezia e di Praga. Il mio
lavoro è fatto da un lungo processo di stratifi cazioni
e cancellazioni, è una ricerca di ordine nel caos.
Racconto me stesso, i miei ricordi fatti di continui e
improvvisi viaggi senza una meta, di case stracolme
di piante e di mobili: piccoli equilibri precari sia
visivamente sia emotivamente, che se rotti si
trasformano in qualcos’altro altrettanto interessante e
affascinante.
Manfredi Beninati
Artista palermitano, classe 1970, da tre anni vive a Los Angeles. Dipinge e crea installazioni.
È stato scelto per esporre al Padiglione Italia della Biennale di Venezia.
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2009
TOMIO KOYAMA – Tokyo
INTERVIEW WITH MANFREDI BENINATI – By Arika Suminaga and Satoko Hamada
“All of my works I take it as a therapy, I do it for myself more than anything.”
At first I would like to ask you about the title of this show, “Rearranging the Landscapes Around”.
That is because with Tomio, we decided to have a small exhibition in Kyoto at first. It was supposed to be almost two months earlier. So I had very short time to have to get everything ready. So we decided to go for two paintings, two drawings, two sculptures just to test the market. First thing that occurred to me was to take one photo of my mother, and one photo of my father, and to reproduce the photo more or less, roughly, in a painting, drawing, and sculpture. For instance, if you look at that painting, that is my mother sitting there on the table and that is my mother again in a drawing and a sculpture. But the landscape is always different. So Tomio asked me to give him the title, that was the first thing occurred.
So the works are based on the photo of the mother and father.
Yes, so I just took a photo … roughly.
There is one real image and you added many fictional layers?
No it is like… nothing planned. Draw from the photo, (Manfredi imitates sound of shutter), more or less. …and then the image of my mother, image of my father and try to make landscape around them. they are both asleep, so i was free to make dreamlike landscapes around them. Then for instance you see the bomb there -this thing, in my mind, is a bomb!- This bomb used to be here too (Manfredi points at a sculpture). I didn’t like it around anymore. It was too obvious, so I took it out.
Why is there a bomb? It is very peaceful image for me.
Yeah. That is right. There can be peace around noisy thing. It is like life. For instance if you close your eyes and put your fingers up in the ears, it looks like nothing is happening. But then the world is in fact a… you know. To me that bomb was like a particle, like an atom.
Did you make the drawing first?
No. All together.
All together. At the same time.
Yeah. And in the mean time I was getting another show ready. So I had like twenty works in the studio at the same time.
So it takes a long time to…
Yes… even like those drawings… those are also made in layers. pencil, graphite and gesso, which is a kind of plaster. You put a layer of gesso, draw, throw the gesso again and it has to dry it for like two days before you can draw again. In the mean time I do another things. It is all like occasional, nothing planned.
Do you mean there is no plan for these splashes and brush strokes, just occasionally?
No. Looking for somewhere to start from. You look for things. I am very figurative although if you look at this painting as if it suggests abstraction. There is nothing abstract about my persona. Then when i say “occasional” I mean I let things happen. I want to be democratic even with my works. I don’t want to be too bossy, to impose my point of view on them. It has to be in between my point of view and causality, whatever happens…
Sometimes the images are from your dreams?
No.
Only based on just one picture or something. all the rest is made up out of accidents.
Sometimes I use images of my family, mostly family because I believe you should talk only about things you know very very well. Otherwise keep your mouth shut. Of course my family is what I know best. I am much more familiar with myself, my parents and stuff like that… than other things.
At the same time this painting represents the whole world.
Yeah, it is like a microscopic view of particle, you know. That is why they are so crowded. Because if you look in a microscope, out of maybe little pieces of this paper, you can see billions of things. Nothing really has priority. Everything is on the same level, nothing is like the center. That is really important for me. In politics, when I vote, I vote right wing but like most right wing people in Italy, I am very left wing. I am a communist here in my heart but practically, because I am practical person, I am right wing, because they are only people with a bit of common sense.
Are there many right wing people in Italy?
No. Everybody is left wing. In Italy we have had the biggest communist party outside the Soviet Union, with twenty million members, for forty, fifty years. It was almost like a cultural dictatorship. All artists still are communists in Italy. That is because you have to be a part of that system and that is probably why I vote for the right wing, because I don’t like that. That is like mafia.
Can I ask about sculptures too? How do you make this form since it looks very complicated? It looks like melting.
Yeah, like letting things drop, dripping colors and stuff. This is also kind of a plaster. This part here is so hard. Other parts are less hard. It depends on how much water you mix it with. And this is pink, that is light blue, because I mixed the white plaster with some blue or red pigments. It is a very meditative practice. A very slow process. First I try to make figure out from just dripping. When it does not look at all like a figure I was trying to do, then I start curving. It is like an experience. I had never done it in this way before. It is a good way of killing time too, really good. All of us should do that. It is really like meditation.
Here we can find the same image from the painting, sleeping mother. This mother goes there, and maybe somewhere else.
This is a collage and drawing within the work.
Yeah. There is a drawing underneath. This is also a meditation. All of my works I take it as a therapy, I do it for myself more than anything.
Are the images from many magazines and many sources?
This is out of three magazines and maybe ten newspapers. To me, collage does not really make any sense. I don’t understand collage, and that is why now and then I do one. Because I am trying to find the light to give collage a sense. If it is so messed up, maybe it makes sense. But when it is very simple, like two things, I find it almost offensive. I don’t like the works that are made in half a day, I hate those very quickly executed ones. There must be always a process. You will always have to be able to read the process. That is why I love Mika Kato, for instance. I know how she works. She makes a sculpture first -that must be meditation for her- and then she takes a photo, more photos, like she looks for the angles and finally she starts to paint…It is a perfect way to find enlightment.
I said “Ok. I bet you if I start now, in three, four years I will be at Venice Biennale.”
Let’s talk about this installation
I got the idea to make the installation when Tomio and I decided to move the exhibition from Kyoto to here. He said there was one more room here, a very small room. I thought we could do something like this and he said let’s do it. I did an installation in the show at James Cohan Gallery in New York in 2007 in a very similar manner. Once you enter the gallery and you find the reception here and then a room like this (Manfredi indicates left) , and then another room like that, only a bit longer. The first room was exactly like this one here. So when I saw the map, I thought this is just like James Cohan’s and we decided to do that. Then, because I had already given Tomio the title, “Rearranging the Landscapes Around”, then I thought we should do something messy.
There are many landscapes inside at the same time.
Yeah but you can make up your own, if you want to be stupid… I am joking.
What did make you combine such kind of installation with paintings or sculptures?
In the 51st Venice Biennial 2005, I won the prize and they gave me twenty-something thousand euros to make the work. Instead of doing a big painting, I thought I would like to do an installation. This is all fiberglass. It is all fake.
All fake?
Yeah. It was made in Cinecitta which is the Italian Hollywood, located in Rome. We built it in Rome, brought it to Venice and of course I worked some more during I was there.
So this is your first installation?
My first installation, yes. This also won the Audience prize. So a lot of people were asking me to do an installation. Since then I have done probably like ten. One in Rome this year from an old drawing which was about the light. We had three windows here on the left one window opposite on the door. We set all this light, very technological things with huge scaffolding behind the windows. It is all fake. We had morning, afternoon, evening and dusk. Light is changing constantly and it would also change in terms of color, in the morning it would be blue and night would be red, and it would also move around the room. (Looking through a book). That is actually from a drawing I made five years earlier for the same event. Do you have any of my drawings here?
Not Yet.
There is a big drawing called “Flavio e Palermo”, “Flavio” is my younger brother -he died three years ago-, that this installation is based on. This (Manfredi points at his sleeping mother) is also based on a previous work…this (he shows a painting from the book). I did this two years ago. When I asked my mother to pose for very quick photo, she said “What do you want me to do?” so I said do this. It is almost the same posture as this.
When we are collecting all the furniture and everything,
Did I have an idea? No.
No you did not have and idea.
I had a rough idea. I believe your work. You should work with whatever you have handy, sometimes.
Is this image of our life?
No.
It does not have to be. It is more about my idea of your country.
We decided to go for Japanese, but we had a very small budget… For instance that corner is the most Japanese. At least one corner, to me, looks and feels Japanese.
The screen is very effective for Japanese image.
Yeah. You can see through.
You were working with movie directors.
Yes. That was a very long time ago, I was nineteen to twenty-one. I worked on some films, and then studied cinema, taking films. And then I was doing nothing for five, six years. One day we met up with my brother and my girlfriend at the time in New York. We went to see friends in their studios, artists. They were making such crappy works. My brother said, “Manfredi, you are good at drawing. You should do that too.” I said “Yeah, maybe one day” and then my girlfriend said “No, You would never make it” and I said “Ok, then, I bet you if I start now, in three, four years I will be at Venice Biennale.” To me it was the only thing I knew about contemporary art. That was in 2000. Then I went back to London and started making works. In 2003, I had my first show, and in 2005, I joined Venice Biennale so I won the bet.
The experience with film maker inspired you, right? Your work is like a cinema set.
Cinema is my world, real passion.
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Japanese version
全ての作品は私にとってセラピーみたいなもの。
誰よりもまず自分のために作っています。
まず、タイトルの『置き直された風景』について聞かせてください。
トミオと最初に、京都で小さな展覧会をしようと話していたんです。そのときは今より2ヶ月ほど早い会期の予定だったので、すごく短い準備期間しかないと思った。ですから、まずはペインティング2点、ドローイング2点、彫刻2点で試してみよう、と思っていたんです。まず最初に私が行ったのは、母の写真と父の写真を1枚ずつ撮り、それを元に多かれ少なかれ加工して、それぞれペインティング、ドローイング、彫刻に仕上げていきました。絵を見ると座っている母の姿が見えますね···他の作品にもそれぞれ母の姿があるけれど、風景はいつも異なっている。その時トミオからタイトルを教えてほしいと聞かれたので、このタイトルにしました。それが始めに起こったことです。
今回の作品は全て、お母様とお父様の写真に基づいているのですね。
そう、ラフに撮っただけだけれど。
一つの現実のイメージがあって、その後想像の風景を重ねていったのですか?
いえ、何もプランはしていないのです。写真を撮って、それを元に描いていく(カメラのシャッター音をまねて)、母のイメージ、父のイメージがあって、彼らは両方とも眠っているので、夢のような風景を自由に配することが出来ました。たとえばここには爆弾を描いているのが見えるでしょう?これは、私の頭の中では爆弾なんです。こっちにもあるね(彫刻を指す)、他にも描くのはやめました。露骨になりすぎてしまうから。
なぜ爆弾があるのでしょう、私にはとても平和的な風景に見えるのですが?
そうですね、そのとおりです。平和とは、騒がしいことの周りにも生まれ得るものですよね。人生のようなもの。とても静けさに満ちていて……今この瞬間も、あなたが目をつぶって耳をふさいでしまえば、まるで何も起こっていないかのようですね?けれど実際には……わかりますね。私は粒子を、原子を描いているようなものなのです。
ドローイングを先に仕上げるのですか?
いいえ。全て一緒に。
全て、同時に仕上げるのですか?
そうです。さらに同時に、他の展覧会の作品を準備したりもします。ですから、スタジオにはいつも20点ほど作品がありますよ。
では制作には時間がかかるでしょうね?
そうですね。このドローイングでも、鉛筆と、グラファイト(石墨)と、漆喰の1種であるジェッソを塗り重ねているから、すごく時間がかかる。ジェッソを塗り重ねて、また全面にぶちまけて、そうするとまた手を入れるためには2日間ほど乾かさなくてはいけない。同時に他の事もやるので、すごく臨機応変な、無計画な感じで進めます。
こういった絵の具のしぶきやブラッシュストロークが、偶発的に行われるということ?
いえ。どこから始めるかは、いつも模索しています。何を描くのかも探すし。もしこの絵を見て、抽象的なものを示唆しているように見えたとしても、私はとてもフィギュラティヴ(具象表現的)な人間です。私の人格には、抽象的な要素は一つもない。偶発的な、と言う時には、ものごとをあるがままにしておく、という風に考えています。私は作品においても民主主義的でありたいから、自分の視点を示すための高圧的なものは作りたくないのです。何が起ころうと、私なりの視点と物事の因果関係、その間でなければなりません。
夢の中のイメージが作品のもとになることもありますか?
いいえ。1枚の写真とか、そういったものがベースにあって、その他は偶発的に描かれるということです。
家族のイメージはよく使います、なぜなら本当によく知っていることについてだけ語るべきだと思っているからです。さもなければ口をつぐむべきでしょう。もちろん、家族は私がよく知っているものだから。ミラノについてとか、母についてとか、そんなようなことならいちばんよく知っているので。
同時に、この絵は全世界を表してもいるわけですね。
そう、これは粒子を顕微鏡で見るような視点なのです。だから画面がこんなに入り組んでいる。もしあなたが顕微鏡でこの紙を(インタビュアーの質問用紙を指して)見たら、何百万もの紙の粒子が見えるでしょう。そこに優先順位がある訳ではなく、全てが等価で、なにが真ん中ということはない。これは私にとって大切なことです。政治においては、投票する時、私は右翼に投票します、でも他のイタリアの右翼の人々がそうであるように、私は実際にはとても左翼的な人間です。実質的には−−私は実質的な性格なので−−私は心の中ではコミュニストです、けれども右翼に投票する、それは彼らのことしかよく知らないからなんです。
イタリアには右翼の人がたくさんいるのですか。
いえ、皆、左翼ですよ。イタリアには、2000万人ものメンバーから成るソヴィエト連邦外では最大規模のコミュニスト政党が、四、五十年にわたって存在してきました。ほとんど、文化的独裁国家です。イタリアでは、全てのアーティストはコミュニストです。システムの1部を担わなければいけないからでしょうが、おそらく私が右翼に投票する理由はそれが嫌だからです。そんなのはマフィアみたいだから。
彫刻についてもお尋ねしていいでしょうか。とても複雑なフォルムに思えますが、どうやって造型しているのでしょう。溶けているようですね。
ええ、材料をポトポト落として、さらに色や形をドリッピングさせます。これも石膏の一種ですね。例えばこの部分はとても固いけど、ここはそんなに固くない。水をどれくらい混ぜるかによります。色は原色の顔料に白い石膏をまぜています。瞑想をするような感じで、とてもゆっくりやります。まず、ただ垂らすところから形を作り始め、それが気に入らなかったら、彫ってみるようにします。いい経験です、こんな風に作ったことは今までなかったけれど、暇つぶししているような感じで、とてもいいよ。皆やったらいいのに。本当に瞑想しているみたいなんです。ここにも眠っている母の像があって、きっと他の所にもいるんです。
この作品はコラージュとドローイングですね。
ええ。下の層にドローイングがあります。これも一種の瞑想。全ての作品は私にとってセラピーみたいなもので、誰よりもまず自分のために作っています。
イメージはたくさんの雑誌などからとられているのでしょうか?
これは確か3つの雑誌と、10の新聞から切り抜いています。私にとって、コラージュは全く意味をなしません。コラージュのことは全く理解していなくて、だからこそ時々作るんです。コラージュに意味を与える光を見つけ出したい。こんなに散りばめなければ、意味が生じるのかもしれないけど。だからといって、(要素を)たった2つとかにしてしまうと……ほとんど屈辱的というか、イライラしますね。私は半日でできてしまう作品、すぐできてしまうものが嫌いなんです。常に過程がなくては。そしてあなたはその過程を常に読み取らなくてはいけない。だから加藤美佳さんの作品なんか、好きですよ。どうやって作るか知っている。まず始めに彫刻を作って、それはきっと瞑想的なことに違いないでしょう、さらにそれを写真に撮り、もっと撮影し、まるで天使を捜すようにして、やっと絵を描き始める−−喜びを見出すためには、完璧なやり方です。
「賭けてもいい、僕が今すぐ始めたら、
3,4年でベネツィア·ビエンナーレに出てみせるよ」
このインスタレーションについても話しましょう。
私はトミオと話していて、京都ではなく東京で展示をしようと決めた時、このインスタレーションを作ることを思いつきました。ここにはもう一つ部屋が、小さな部屋があると聞いて、ではこのような展示をしたいと言ったら、彼はやろうやろうと言ってくれました。
2007年に、ニューヨークのジェームス·コーハン·ギャラリーで行った展示でも、ギャラリーに入るとまずレセプションがあって部屋があって、(マンフレディ左のインスタレーションの部屋を指す)それからここよりもう少し長い部屋があった。最初の部屋は、まさにこのインスタレーションの部屋のような感じだったのです。だから図面を見た時、すぐに同じような展示ができると思った。その時既に展示タイトルを「置き直された風景」と決めていたから、なにか散らかったようなインスタレーションにしようと思ったんです。
確かに、中にはたくさんの風景が同時に配置されているかのようですね。
ええ、でも自分で自分の風景を作ってもいいんですよ、バカなことを試したけりゃ!……いや、冗談です。
このようなインスタレーションと、このようなペインティングやドローイングをなぜ結びつけるようになったのですか?
2005年、第51回ヴェネツイア·ビエンナーレのときに、賞をもらって、20,000ユーロくらい賞金をくれたんです。その時、それで大きい絵を作る代わりに、インスタレーションを作りたいと思った。(ヴェネチアの展示の)これらは皆グラスファイバーでできている、フェイクの宮殿なんです。
全部フェイク?
そう。これはイタリアのハリウッドみたいな、ローマにあるチネチッタで作りました。ローマで作ってヴェネツイアへ運んで、もちろん滞在中さらに手を加えました。
ではこれがあなたの最初のインスタレーション作品ですか?
そうです。これは観客賞も受賞して。だからたくさんの人に、インスタレーションを作ってと頼まれます。それ以来10は作ったかな。
今年ローマで作ったのは(Quadriennale di Roma)、そうこれこれ、このときは光についての展示でした。ドアとは反対側に、3面ともに窓があって、私たちは人工的な光をそこにセットしたんです。膨大な足場を組んでね、窓からさも自然光が差しては消えるように。これも全部フェイク。にせものの朝が来て、昼、夕方、たそがれが来る。光は定期的に変化し、色も変わります−−朝は青白く、夜は赤みを帯びる。そして部屋の中を移動していきます。(資料をみて)あ、これはドローイングがあるはずだね、ドローイングを見た?
まだです。
『Flavio e Palermo』というドローイングがあって、それは3年前に亡くなった弟を描いたものなんだ、このインスタレーション(Quadriennale di Roma)の基になっています。
私たちが(インスタレーションのための)家具やら何やら集めている間···
僕になにかアイデアがあったかって?いいえ、ですね!
ええ、無かったような…
大体の案はあったんだよ。あとはあなたがたの働きを信じていますから。あなたがたが僕に渡してくれたものに関しては、なんでも協力してやってもらわないと!
これは、私たちの生活のイメージですか?
いえ。必ずしもそうである必要はないんです。これは皆さんの国について私が考えていること以上の、何かなんです。和の雰囲気にしようとは決めてたけど、予算があまりなかったからね。今見ると、このコーナーの所なんかはとても日本的かな。
このすだれが、日本的な効果を出していますね。
そう、中をのぞけて。
あなたは映画監督たちと仕事をしていらっしゃいましたね。
ええ。すごく昔のことです、私が19歳から21になるまででした。いくつかの映画に関わり、映画について勉強し、多くのことを語りました。そのあと5、6年は何もしていなくて。ある日、弟と当時のガールフレンドと一緒に、ニューヨークで会ったんです。そこで他のアーティストのスタジオをいくつか回りました。
そしたら皆、くだらないもの作っててね。弟が言いました、「マンフレディ、君はドローイングが上手いじゃないか。君もこれをやったらいいよ。」 私は「ああ、いつかね」と答えました。するとガールフレンドが、「いいえ、あなたがやるはずないわ」と言ったので、私はこう言ったんです。「賭けてもいい、僕が今すぐ始めたら、3、4年でベネツィア·ビエンナーレに出てみせるよ」と。
その頃、私が知っている現代アートのことと言ったら、ヴェネツイア·ビエンナーレくらいでした。それが2000年のことで、そのあと私はロンドンに戻って制作を始めた。2003年に最初の個展を開き、2005年にヴェネツイアに出展したから−−賭けに勝ったわけです。
映画監督とのお仕事の経験から影響を受けられているでしょうね?あなたの作品は映画のセットを彷彿とさせますから。
映画は私の世界、本当のパッションなんです。
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2008
NEWSDAY
SHIFTING SANDS –
By Gabrielle Selz
This week’s opinion essay by Gabrielle Selz was inspired by the current exhibition at the Parrish Art Museum in Southampton, “Sand: Memory, Meaning and Metaphor.” Here, she comments (in italics) on works from the show about how artists reflect on and make use of sand in their work.
All Things are from the Ocean, 2008
Mixed mediaMy son called this the sandcastle room. Not only is the sandcastle made of sand, so is the bearded little man. Is he the sandman? It’s like a little, hidden room, a dusty closet with a fantasy world inside. A few years ago we went to the Amagansette sandcastle competition, which is held in early August each year at Atlantic Beach. Like Beninati, over 300 contestants used sand and other natural elements found at the beach to create their own fantasy world of towers, spires and pyramids. That was the year my son was fascinated with all things dragon like, and so his favorite was a sand dragon, wings spread, flying over the beach. (Courtesy the Artist and James Cohan Gallery, New York).