Elena Bordigon, “Intervista con Manfredi Beninati. Tra Palermo e Firenze”, ATP Diary, 22 November 2016
La mostra di Manfredi Beninati si apre con la misteriosa data di un giorno nel futuro, “ Domenica 10 dicembre 2039”. Un punto, spiega sintetico l’artista, una giornata immaginaria indefinibile e inspiegabile. L’indeterminatezza è sempre stata una caratteristica della creazione artistica, la sua nota affascinante, oserei direi senza esagerazioni. Così come è impossibile spiegare le motivazioni, le scelte compiute, frutto di scoperte, rivelazioni o casualità.
Ospitata alla Galleria Poggiali di Firenze – fino al 13 dicembre 2016, a cura di Sergio Risaliti – la mostra è stata concepita appositamente per gli spazi, pensata senza un preciso tema o ordine, bensì assecondando, come racconta Beninati, “il piacere di produrre lavori in maniera casuale a cui, poi, trovare la collocazione più visivamente equilibrata tra i vari spazi della galleria”.
Poliedrica e imprevedibile, la mostra raccoglie mezzi busti, cavalli, cerbiatti, maschere in bronzo e bassorilievi in bronzo e resina; ma anche un set fotografico, dei lightbox: materiali e mezzi espressivi diversi per dar voce, come scrive il curatore Sergio Risaliti al “linguaggio dell’inconscio che pretende di scegliere ed evidenziare visioni a proprio piacimento, secondo regole e principi immaginifici che non sono quelli del mondo razionale diurno”. Avvicinandosi alle opere dell’artista siciliano, continua Risaliti, lo spettatore ha la sensazione che “…l’immagine nell’insieme sembra generarsi o rigenerarsi, muoversi da un piano di profondità a un altro, come se fossero livelli di coscienza differenti. Non vi si scoprirà un soggetto centrale o dominante, ma una costellazione di segni e di figure che esistono all’interno di una dimensione spazio-temporale onirica. Come se la vita fosse un sogno, e il sogno la vita”. Seguono alcune domande all’artista
ATP: Partiamo dal titolo – Domenica 10 dicembre 2039 -, che significato ha questa data? E’ un punto indefinito nel futuro o ha un valore preciso?
Manfredi Beninati: Un punto indefinito. Un luogo spazio temporale che non prenderà mai forma nel nostro sistema di cadenzamento del tempo, giacchè il 10 dicembre di quell’anno non sarà una domenica ma un sabato.
ATP: Cosa ti affascina della “teoria delle stringhe” o “teoria del tutto” del fisico Gabriele Veneziano? Che relazione ha con la tua ricerca?
MB: Questa faccenda della teoria delle stringhe non era mai stata associata al mio nome o al mio lavoro finchè Valentina Bruschi non ne ha parlato in un suo articolo su Il Foglio la scorsa estate. Da quel momento è diventato un argomento topico nelle interviste e negli articoli e recensioni. Il che mi fa sorridere poiché è, in un certo senso, un’ennesima conferma della giustezza della concezione della vita alla base di quella teoria. Siamo fatti di vibrazioni, anche la materia solida come anche i nostri sogni (per citare un drammaturgo molto conosciuto) lo sono. Il che rende possibile la coabitazione di un’infinità di universi nello stesso spazio e nello stesso tempo, che poi sono la stessa cosa. In fin dei conti la vita che ciascuno di noi affronta avvalendosi dei pochi mezzi di percezione che crediamo siano gli unici (i cinque sensi + gli eventuali sesto, settimo, ecc delle persone più spiritualmente alevate) altro non è che un film, una pellicola che scorre parallelamente ad un’infinità di altre pellicole della cui esistenza noi non percepiamo alcun indizio se non, forse, sotto forma di sogno, e comunque non ce ne curiamo. L’universo (anzi dovremmo parlare più giustamente di multiverso) dunque potremmo identificarlo come un enorme (ma anche microscopico. E qui s’accenderebbe l’inutile discussione tra sostenitori di meccanica classica e meccanica quantistica) schermo televisivo. Per finire di rispondere alla tua domanda: la relazione tra la “teoria del tutto” e la mia ricerca artistica è la mia curiosità di essere senziente e nient’altro che questo.
ATP: Hai pensato, per gli spazi della galleria Poggiali di Firenze, una mostra complessa e stratificata. Perché hai deciso di allestire una sorta di set cinematografico dentro al luogo espositivo? Mi spieghi come nasce la grande installazione che da il titolo alla mostra “Domenica 10 dicembre 2039”?
MB: In realtà non si tratta di un set cinematografico ma più semplicemente di un piccolo set fotografico allestito in un angolo della galleria per fare gli scatti che avremmo usato per delle lightbox (o più italianamente foto retroilluminate) che Marco Poggiali mi aveva confessato gli sarebbe piaciuto avere in mostra. L’idea, poi, di lasciarlo allestito durante il periodo della mostra, a fare da contraltare alle foto è stata un po’ conseguenza di pigrizia mentale (mia) e un po’ guardando le immagini di mie installazione passate, come quella della biennale di Liverpool del 2008 dove uno dei livelli di lettura era la contrapposizione tra il manifesti disseminati per le vie della città ed la rappresentazione fisicamente reale del salotto che vi era ritratto. In più, nel caso di Firenze l’ambiente allestito è la riproduzione di un ambiente realmente esistente a poche decine di metri dalla galleria.
ATP: In mostra ci sono diverse opere dove hai utilizzato diversi mezzi espressivi: dai light box ai bassorilievi in resina e bronzo, sculture in marmo, installazioni. Con quale criterio spazi tra i diversi mezzi espressivi?
MB: Questa mostra è frutto della collaborazione tra l’artista e la galleria. Tutti (letteralmente dal primo all’ultimo) i lavori sono ciò che rimane di un’estate di collaborazione e frequentazione con i Poggiali che mi anno introdotto alla lavorazione del marmo a Carrara, al lavoro in fonderia nel Chianti, ecc, tutte cose a cui non m’ero mai avvicinato prima. Dunque non vi è stato un criterio di scelta dei lavori da esporre, né alcuna sorta di tema ma semplicemente il piacere di produrre lavori in maniera casuale a cui, poi, trovare la collocazione più visivamente equilibrata tra i vari spazi della galleria. Negli ultimi anni sono stato un bel po’ defilato rispetto al mondo dell’arte, diciamo che mi sono autoesiliato (ho fatto altro), e fare questa mostra del fare mi ha fatto riscoprire il piacere di comunicare attraverso l’arte.
ATP: “…l’immagine nell’insieme sembra generarsi o rigenerarsi, muoversi da un piano di profondità a un altro, come se fossero livelli di coscienza differenti. Non vi si scoprirà un soggetto centrale o dominante, ma una costellazione di segni e di figure che esistono all’interno di una dimensione spazio-temporale onirica. Come se la vita fosse un sogno, e il sogno la vita”. In questa citazione dal testo in catalogo di Sergio Risaliti, è evidente come il mondo immaginario che crei con le tue sculture sia una costellazione onirica. Al di là delle forme dei tuoi “personaggi”, ci sono dei testi o dei componimenti letterari a cui prendi ispirazione?
MB: Il punto è che quando lavoro non ho mai una meta né un interesse particolare in mente. Mi lascio trascinare dal caso. Lavoro e lavoro e presto o tardi qualcosa viene fuori spontaneamente a mostrarmi il percorso da seguire. Non sto parlando di nulla che sia assimilabile all’idea di stato di trance ma piuttosto di pigrizia creativa. Il risultato sono dei lavori che da molti vengono identificati come onirici pur non avendo quella matrice.
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Gli ultimi giorni della mostra fiorentina coincidano con le giornate di apertura di un’altra mostra di Beninati, ospitata al Museo Civico di Castelbuono (Palermo), a cura di Laura Barreca e Valentina Bruschi. Dall’11 dicembre 2016 al 6 marzo 2017, la mostra raccoglie per la prima volta una selezione antologica di opere dagli inizi degli anni Duemila ad oggi. Per questa occasione l’artista ha creato un’installazione ambientale site-specific che trasforma una stanza del trecentesco Castello dei Ventimiglia in un ambiente allestito a grandezza naturale, a cui il visitatore può accedere, unicamente osservandolo attraverso una piccola finestra. Un luogo da “guardare” come le pitture, i collage, i disegni, le sculture, che costituiscono la vasta e ricchissima produzione artistica che nel corso di meno di un ventennio hanno portato l’artista ad un continuo rinnovamento del linguaggio e del medium artistico.
La mostra presenta una selezione di disegni, dipinti e collage realizzati con tecniche e materiali vari che nel corso della sua carriera artistica Beninati ha sperimentato in un continuo rinnovamento del linguaggio artistico. I riferimenti alla memoria e alla storia personale si intrecciano con una originale inclinazione al racconto cinematografico e ad interessi letterari e artistici come le Città invisibili di Italo Calvino, che fanno da filo conduttore alla scoperta di luoghi onirici che l’artista popola di personaggi veri o immaginari, in un equilibrio naturale tra sogno e ricordo. Spesso tornano figure familiari di madri, bambini, fratelli, volti che si confondono con le velature di colore, dando allo spettatore la percezione del passare del tempo, come accade in un film. Attraverso questa stratificazione, caratteristica del suo lavoro, Beninati dipinge interni domestici o paesaggi fantastici, in un’atmosfera rarefatta, alle volte irreale, descrivendo figure che sembrano emergere lentamente da uno sfondo fiabesco.
“Nelle opere di Manfredi Beninati si ha la sensazione di essere arrivati appena un momento dopo un fatto, come spalancare una porta dove è accaduto qualcosa, dove ha vissuto qualcuno, dove il tempo è trascorso inesorabilmente lasciando le sue impronte. Forse è per questo motivo che lavora per mesi, o anche anni, sulle stesse opere: sviluppare una narrazione dialogando col tempo è una pratica di conoscenza di sé che dura tutta la vita”, scrive Laura Barreca. “L’artista fa riferimento ad un’intuizione del 1968 del fisico Gabriele Veneziano, ritenuto il padre della cosiddetta “teoria delle stringhe” o “teoria del tutto”. Come rapportarci con l’idea che il nostro sistema solare non è che una delle infinite realtà esistenti nell’universo?”, racconta Valentina Bruschi nel testo in catalogo, “questo immaginario, legato al trascorrere del tempo in una dimensione spaziale, si riflette nelle opere pittoriche e scultoree, realizzata nel suo studio, nel quartiere “Liberty” di Palermo, a due passi da piazza Politeama. È questo il luogo dove oggi si concretizzano le sue visioni, dopo aver vissuto e viaggiato nel mondo, da Londra a Los Angeles, da Roma a Buenos Aires”. (Da CS)
Eena Bordigon
«…quando lavoro non ho mai una meta né un interesse particolare in mente. Mi lascio trascinare dal caso.Lavoro e lavoro e presto o tardi qualcosa viene fuori spontaneamente…»