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SEGNI E SOGNI. TRA REALTÀ E INCONSCIO

Sergio Risaliti, Arte Mondadori, marzo 2016

 

UNA PITTURA VISIONARIA E DAI COLORI NERVOSI, IN CUI INTRICATI PAESAGGI ONIRICI ACCOLGONO E CONFONDONO LE CRONACHE ESSENZIALI DELL’ARTISTA SICILIANO

Ho trascorso una piacevole serata con Manfredi Beninati (Palermo, 1970) in una trattoria poco fuori Firenze. Mi ha raccontato episodi della sua vita fornendomi informazioni utili a capire meglio il suo lavoro. Fin da ragazzo si è spostato in giro per il mondo, ha cambiato casa, si è trasferito in diverse città, in Italia e all’estero. Tutto questo girovagare lo ha di fatto obligato a vivere tra euforia per il nuovo e nostalgia del passato. Palermo e Los Angeles, Roma e Buenos Aires, naturalmente Londra. Forse è per questa ragione che vive tra stati emotivi opposti: tra accelerazione del battito cardiaco e rallentamento psichico fino alla sospensione del giudizio. Il volto si accende per la curiosità e la sorpresa che un evento scatena, poi si incupisce improvvisamente; Beninati va in “pause”, rapito da chi sa quale ricordo, portato via e lontano dalla nostalgia. Come direbbe Michelangelo Buonarroti: la malinconia è la sua “allegrezza”. Un dolce furore ne caratterizza la persona come il lavoro. Le immagini, nei suoi dipinti, risalgono a galla velocissimamente e vorticosamente; la presa di possesso  delle stesse induce a ripensamenti mnemonici molto lenti, a riconoscimenti che sciolgono i nervi fino alla compassione per quanto risorge alla luce del giorno provenendo dal remoto passato. Abbiamo anche parlato della mostra in corso (fino al 20 marzo) alla galleria Poggiali & Forconi un progetto cui hanno partecipato Enzo Cucchi e Laboratorio Saccardi. Alcunidei lavori esposti da Beninati sono di grandi dimensioni, rasentano il soffitto della galleria: grandi quadri disegnati con una tecnica pregevole, con elementi tratteggiati minuziosamente, alcune zone della composizione sfumate, assieme a dettagli e particolari sprofondati nello spazio di rappresentazione, volti e figure resi pressoché invisibili e irriconoscibili, quasi fantasmi sorpresi in giro per il mondo. Cellule luminose si alternano a zone neutre, e qui sembra dominare il non essere. A fine serata ci siamo confrontati sul rapporto tra arte e filosofia. La sua tesi: «L’arte svela misteri che ci riguardano in quanto individui e società, mentre la filosofia spiega perchè essi esistono. Nel momento in cui un artista diventa filosofo (cosa che accade spesso) le cose non funzionano più».

SPAZIO E TEMPO ONIRICI – L’immagine nell’insieme sembra generarsi o rigenerarsi, muoversi da un piano di profondità a un altro, come se fossero livelli di coscienza differenti. Non vi si scoprirà un soggetto centrale o dominante, ma una costellazione di segni e di figure che esistono all’interno di una dimensione spazio-temporale onirica. Come se la vita fosse un sogno, e il sogno la vita. Per descriverla ci vuole un cantore visivo; sta a lui creare una trama figurativa che non sia stata trattata secondo gli schemi logici della narrativa classica. In molti casi le sue composizioni ricordano il collage surrealista. Ma non siamo negli anni Venti del XX secolo e oggi sappiamo qualcosa di più e di diverso sui neuroni e i neutrini, su come il DNA trasmetta memoria e cultura, su come e quanto i campi elettromagnetici influenzino la nostra realtà psichica e come questa complessità condizioni o alteri il nostro stare al mondo. Tutto galleggia in un plasma che è fatto di luce e di radiazioni e le figure non sono ombre, ma campi e flussi di energia, perché  la vita onirica e quella cosmica sono interconnesse.

DENTRO UNA PELLICOLA – Anche nell’ultima mostra i dipinti sono abitati da oggetti svariati, da elementi vegetali, esseri viventi, veicoli per spostarsi nell’aria e muoversi sulla terra. Ci sono gruppi di persone, bambini, ragazzi, madri ritratte in momenti di tenerezza. Non si tratta unicamente di ricordi personali, perché questi si mescolano ad archetipi e simbologie del sacro. La miscela è quella del linguaggio inconscio che pretende di scegliere, evidenziare, far essere segni e visioni a proprio piacimento, secondo regole e principi immaginifici che non sono quelli del mondo razionale diurno. Mentre parla, Manfredi fissa i suoi ricordi come in uno stato di trance; il passato gli scorre nella retina, come «fosse una pellicola». Per un certo periodo di formazione ha lavorato con importanti registi e il cinema ha condizionato in qualche modo la sua pittura e le sue installazioni. La relazione tra proiezione filmica, esoterismo, spiritismo è stat molto forte ai primi del Novecento; anche tra i futuristi si indagavano i rapporti tra mondo dei sogni, fenomeni paranormali e immagine cinetica.Ci si interrogava anche sull’ubiquità, gli spazi pluridimensionali, il teletrasporto. Tra i suoi paesaggi meta-onirici e la sua cronaca esistenziale vi è una stretta relazione: il quotidiano incorporato come memoria è manipolato riformulato dall’inconscio come immagine; ed è l’inconscio a fornire grazie a illuminazioni incondizionate il materiale più adatto alla trasfigurazione pittorica.

CAMERE DEL RIPOSO – Anche il colore subisce lo stesso trattamento: può essere dato con pennelli sottile;issimi fino  a disegnare racemi e arabeschi che confondono il decorativo con il figurativo, oppure viene tirato con spatole, o fatto colare in modo da sfigurare l’immagine che stenta a essere riconoscibile. E sono colori nervosi (è in difetto chi li ritiene psichedelici) quasi fluorescenti, come quelli di certe creature marine che abitano la Fossa delle Marianne. In certi casi la superficie ha l’aspetto di una tenda, è come se le immagini si mostrassero attraverso un tessuto filamentoso e sottilissimo, come dietro un velo. E! insomma tutto un lavoro sul tempo, oltre che sullo spazio; in entrambi i casi tempo e spazio a più dimensioni, di una vastità illimitata, senza cornice o successione lineare, senza una prospettiva centrale-matematica. Dimensioni disorientanti e disordinate rispetto alle norme o istituzioni diurne. Ad esempio in molti quadri la griglia prospettica è sostituita da una grisaille di elementi vegetali-arborescenti che funzionano anche da impianto decorativo. O viceversa, elementi decorativi si trasformano in una foresta e l’intricato paesaggio a sua volta assume  l’aspetto di un tendaggio di palcoscenico aperto sulla messa in scena allestita secondo le indicazioni date dall’inconscio. Figure e ambienti si mostrano per immersione ed emersione: in dimensioni in ogni caso profonde e distanti, da oscurità e nebulose, come regioni subacquee e anfratti siderali. Che si tratti di un’archeologia dell’inconscio lo dimostra il fatto che spesse volte nei quadri appaiono porte e finestre che si aprono sull’interno e lasciano entrare fasci luminosi oppure sguardi scrutatori. Anche nelle installazioni lo spettatore è invitato a soffermarsi su una soglia. Oltre la quale la messa in scena é come un acquario in cui gli attori e le cose vivono in un tempo e in uno spaziose profondo, del distante. Ricordi materializzati, epifanie di un vissuto che non si presenta  analiticamente, ma sotto la spinta dell’immaginazione più pura. Quadri, disegni, installazioni sono come “camere del riposo”, cui fa riferimento Tristan Tzara in alcuni versi: “Una lenta umiltà penetra nella camera/ che dimora in me nel palmo del riposo”.