Interviews

EXIBART – 2005

Ha esordito meno di due anni fa da Lorcan O’Neill a Roma. Nei suoi oli il disegno emerge da atmosfere oniriche ed i personaggi si perdono in astratte macchie di colori. E il giovane palermitano è già presente nella collezione permanente del MAXXI, alla Quadriennale di Roma, ed è vincitore del premio per la giovane arte italiana 2004-2005. Lo abbiamo incontrato a Venezia durante i sopralluoghi per la sua prima Biennale…

 

Come sei diventato “artista”? Con la pittura è stato colpo di fulmine? Alcuni tuoi quadri ricordano una certa fotografia ritoccata di fine Ottocento. Non hai mai avuto dubbi sulla scelta del medium per la tua ricerca?

No. Non è stato un colpo di fulmine. Anzi… Comunque da piccolo più che altro mi piaceva disegnare, scolpire o modellare… poi crescendo mi sono appassionato alla fotografia e quindi al cinema… Dunque la pittura non è stata il mio primo amore, né il secondo e neanche il terzo. Poi verso il 1995-96, a Londra, presi uno studio a Brick Lane (così, per caso) e tra un ingrandimento e l’altro ho ricominciato a disegnare… e non potendo permettermi attrezzature e materiale per stampare le foto in grandi formati, ho iniziato a fare dei disegni di grandi dimensioni in cui cercavo di rendere le sensazioni delle mie foto. La pittura è arrivata, forse per caso, nel 2001-2002. Prima di allora avevo dipinto soltanto tra il 1988 ed il 1991 (ma era solo un passatempo) e per tre o quattro mesi nel 1994 (nella cucina del mio appartamento di Earl’s Court).

Tempo fa hai dichiarato di non voler più fare mostre in Italia. Perché?

Perché in Italia non hanno ancora metabolizzato gli anni Novanta e la Young British Art. Comunque a maggio ho un’altra personale da Lorcan O’Neill.

Sei soddisfatto di come viene letto il tuo lavoro da parte della critica. Chi ti ha capito davvero?

Non lo so perché, in generale, non credo che lo sarei, quindi non lo so. Comunque ho letto un paio di articoli che, pur non condividendoli, mi hanno lusingato. Forse perché erano i primi! Chi mi ha capito è la gente con cui lavoro (Lorcan e Jim Cohan in primis). Ma sono ancora agli inizi (malgrado l’età) ed ho tanta strada da fare e tante cose da dire e da provare.

Dopo i tempi londinesi sei a Roma solo da qualche anno ed ora hai in programma di ripartire. Hai già trovato quello che cercavi? Dove sei diretto?

Si, ho già trovato quello che cercavo: equilibrio. Dove sono diretto? Ovunque mi porti l’ironia.

E Palermo, la tua città…?

È l’unico posto al mondo dove tornerei a vivere. Palermo è mia madre.

I tuoi lavori sono articolati tra disegno, pittura figurativa e pittura astratta. I precedenti storici di una tale combinazione possono essere i simbolisti francesi (Odilon Redon o Gustave Moreau) e l’eclettica opera di Gerhard Richter o gli oli di Isca Greenfield-Sanders. Quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Metterei i simbolisti tra i mille pittori che mi piacciono di più. Richter non mi piace, è troppo tedesco. Il terzo non lo conosco.
I miei riferimenti non sono artistici. Mi piace di più guardare il cielo. Comunque mi imbambolano: Medardo Rosso, la base del mondo di Piero Manzoni, i pannelli riempiti a biro di Alighiero Boetti, Tintoretto, Vermeer, e miliardi di altre cose.

Un critico, un gallerista, un collega… Chi è stata una persona davvero importante in questi primi anni di carriera?

Un gallerista: Lorcan O’Neill, un ex collega: Steve McCoubrey e due tizi che oggi mi sembra incredibile di dover annoverare tra i miei colleghi: Gilbert & George. E poi troppi altri.

Un tuo pregio e un tuo difetto in campo lavorativo…

Pregio: mi adatto facilmente. Difetto: a volte mi adatto troppo. Altro difetto: soffro di attacchi di timidezza. Altro difetto: ho una concezione autarchica del tempo.

Dopo la recente personale a New York nello spazio di James Cohan si avvicina la Biennale. Vi parteciperai come vincitore del Premio per la giovane arte italiana 2004-2005. Ci anticipi qualcosa sul progetto che presenterai in laguna?

Sarà una stanza. Forse due o forse tre. Non sono ancora sicuro. Dipende dallo spazio. Comunque un’installazione.

 

a cura di Lavinia Filippi